Libero, 31 gennaio 2018
Quando La Notte brillava in edicola grazie a Nutrizio
Finalmente qualcuno ricorda La Notte, quotidiano del pomeriggio uscito a Milano nel 1952, qualche mese prima delle elezioni politiche del 1953, e diretto per oltre 40 anni da Nino Nutrizio con maestria e senso dell’innovazione che non si sono più riscontrati in alcun collega.
Del giornale e del suo fondatore parlerà oggi il professor Marco Cuzzi al Museo del Risorgimento, nel capoluogo lombardo, Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23, ore 9.30. Ne sono felice perché ho cominciato sul serio a fare il cronista, a livello professionale, proprio alla Notte, assunto da Nutrizio, uomo duro e tenero, generoso, anticonformista, geniale che non dimenticherò mai per il bene che mi ha fatto. Mi hanno raccontato che egli, oltre ad essere stato un commentatore sportivo di alto lignaggio, divenne a un dato momento ufficiale di marina. Partì in nave per la guerra, destinazione Africa.
L’imbarcazione fu bombardata e affondata da aerei inglesi. Annegarono tutti coloro che erano a bordo tranne lui, Nino, che resistette in mare, a nuoto, per ore e ore. I britannici, ammirati dalla resistenza formidabile dell’unico superstite, lo trassero in salvo.
Ho narrato l’episodio affinché ci si renda conto che l’uomo aveva i coglioni di acciaio. Per cui non mi stupisce che abbia trasformato in anni eroici un foglio elettorale destinato a durare pochi mesi, il tempo di votare, in un giornale di grande successo: la Notte, un capolavoro, il primo quotidiano popolare italiano, rivolto alla gente e non al Palazzo e ai suoi tristi inquilini. La testa di Nutrizio era un vulcano. Sfornava idee a ripetizione che accalappiavano i lettori di qualsiasi strato sociale e di ogni idea politica. All’epoca la televisione non c’era o era agli albori, le radio private non esistevano. I cittadini si abbeveravano alla Notte per apprendere i fatti di sangue, le ultime notizie di sport, il tutto pubblicato con evidenza, titoloni accattivanti, spiritosi. La nota politica, breve e ficcante, era affidata a Ignazio Contu, arguto parlamentarista informatissimo e dalla penna brillante.
La pagina degli spettacoli recava una scritta invitante: Dove andiamo stasera. Vi era indicata ogni attrattiva della città. Nino fu sorprendente quando mise in prima pagina un evento televisivo, allorché Paola Bolognani vinse il massimo premio a Lascia o raddoppia, rispondendo esattamente alle domande relative al calcio, incassando 5 milioni di lire. Nessun altro direttore avrebbe osato dare tanta evidenza alle faccende del piccolo schermo. Egli, avendo intuito con largo anticipo lo strapotere televisivo, non esitò a celebrare il trionfo della ragazza esperta di pedate. Per decenni la Notte spopolò, vendendo quintali di copie. Dalle ore 17 in poi, tra le mani dei milanesi furoreggiava il sapido foglio fresco di inchiostro. Nutrizio ha allevato quintali di giornalisti che poi sono andati per la loro strada seminata di affermazioni. Non li cito in quanto molti di essi, ingrati, si vergognano di esserne stati allievi. Ne cito una soltanto che ora si pavoneggia sulla Repubblica: Natalia Aspesi.
Altri li risparmio perché morti. Io invece mi vanto di essere stato assunto da lui. Ero un ragazzo frustrato, impiegato della pubblica amministrazione, posto fisso conquistato tramite concorso, ma volevo fare il giornalista. Mi presentai nel suo ampio ufficio e gli confessai le mie smodate ambizioni. Mi ascoltò perplesso e alla fine mi concesse di entrare a casa sua in prova, tre mesi. Mi disse: «Se siete stato scartato da altri direttori significa forse che siete cretino, poiché però non mi fido dei giudizi altrui, vi sottopongo al mio. Se supererete l’esame, sarete accolto in pianta stabile, altrimenti sarà meglio per lei cambiare mestiere e per noi che di cretini ne abbiamo già abbastanza». Non male come benvenuto. Mi aprì le porte e quando me ne andai al Corriere mi coprì di insulti. In realtà seppi più tardi era stato lui a segnalarmi ad Angelo Rizzoli, dopo l’uscita da via Solferino di Montanelli e dei suoi soci.
Nutrizio era generoso. Vergava un fondo al giorno, tranne il lunedì. Entrava la mattina presto nel suo ufficio, si toglieva la giacca da passeggio e ne indossava una azzurra da lavoro. Buttava giù a mano, con la stilografica, il suo articolo e lo rileggeva sulla bozza umida. Qualche volta ho trovato nella mia casella un suo biglietto: «caro Feltri, il suo pezzo odierno è stato di mio pieno gradimento, passi alla cassa per ritirare lire 200.000 mila quale compenso straordinario».
Era burbero e incuteva soggezione. Se lo incontravo in corridoio mi tremavano i polpacci. Ma se sono ancora qui a scarabocchiare, lo devo a lui e glielo voglio dire anche se non può più sentire. Quando fui nominato direttore dell’Europeo, mi inviò due righe: «Non ho mai pensato che foste cretino». Grazie, Direttore.