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 2018  febbraio 01 Giovedì calendario

Frida Kahlo, il ritratto inedito dell’artista fra grazia e disgrazia

Brava Frida, ce l’hai fatta. Sei riuscita a sorprenderci e non solo a commuoverci mentre girovaghiamo per le sale del Mudec, il Museo delle Culture di Milano dove da oggi e fino al 3 giugno è allestita la mostra più attesa della stagione invernale milanese, «Frida Kahlo. Oltre il mito»: un centinaio di opere, tra cui una cinquantina di dipinti (un paio inediti), fotografie in bianco e nero e a colori, un video, lettere e disegni. Diego Sileo ha concepito con amorevole cura un percorso che si può compiere in un unico modo: in apnea, perché Frida Kahlo richiede dedizione totale e stomaco forte.
Che cosa potrà mai esserci che non sia già stato detto o scritto sulla pittrice messicana (1907-1954), famosa per gli abiti etnici, le sopracciglia folte e i baffetti non depilati? Che cosa aggiungere alla sua biografia che sa di telenovela sudamericana: la poliomielite da bambina, il rovinoso incidente in autobus che le provocherà, a soli 18 anni, la rottura della colonna vertebrale, undici fratture e – dettaglio splatter dall’artista mai censurato – il corrimano del tram in vagina? Si aggiunga la tormentata relazione con Diego Rivera, blasonato pittore di murales, sposato a 22 anni quando lui ne aveva 43, il divorzio per i tradimenti subiti (l’uomo intesseva relazioni amorose con amiche di Frida, persino con la sorella), il volubile appetito sessuale della stessa Kahlo (la passione per il compagno Trotskij, per il poeta André Breton, per il fotografo Nickolas Muray, il solo capace di ritrarla con delicata grazia anche quando è in un letto di ospedale, la liaison con Tina Modotti), il secondo matrimonio l’ex marito... E poi i viaggi in America, dove il comunista Rivera si lascia coccolare dai dollari mentre Frida è in balia della nostalgia per la sua terra, snobbata nella sua produzione artistica, devastata da tre aborti. Gli ultimi due anni sono un climax di dolore: amputazione della gamba destra e morfina come fedele compagna.
Che altro, allora?
Le apparenze ingannano recita il titolo del disegno che apre la mostra prodotta da 24 Ore Cultura: senza data, è un autoritratto a figura intera in cui Frida, sotto l’ampia veste, svela il corpo martoriato eppure forte, presente. Come altre lettere, fotografie e disegni ora esposti per la prima volta a Milano, arriva da Casa Azul, la dimora messicana di Diego e Frida: si trovava in quel grande archivio personale che Rivera, per volontà testamentaria, fece sigillare in bagno e che solo dieci anni fa è stato aperto. Sileo, unico europeo ad aver avuto accesso ai preziosi documenti, è partito da lì per raccontarci un’«altra Frida». Opere nuove, come Bambina con collana, un’intensa tela del ’29 finalmente ritrovata, il materiale da Casa Azul, i prestiti del Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e della Gelman Collection oltre a quelli da vari musei americani, compongono davanti a noi un ritratto inedito della più amata pittrice del Novecento. «Senza però negarne il mito e l’anima pop», precisa il curatore. Very pop Frida lo è dal ’98, cioè da quando Madonna si invaghì della sua storia e cominciò a collezionarne le opere, solleticando il mercato dell’arte. Il film biografico con Salma Hayek (corsi e ricorsi: lo produsse Weinstein, il noto produttore-predatore) ha fatto il resto.
La mostra al Mudec propone una Frida meno facile e immediata: la scelta dell’ambiguo Autoritratto con scimmia del ’38 come immagine-simbolo della rassegna lo testimonia. «Frida Kahlo è stata prima di tutto finissima artista», commenta Sileo. Lo capiamo dalla cura maniacale dei dettagli nei fondali dei suoi autoritratti così come dalle tecniche utilizzate, perché solo quelli bravi sanno dipingere sul metallo (come nel commovente La mia nutrice ed io). L’ammaliante biografia non deve distogliere l’attenzione dalla forza espressiva della pittrice: nelle quattro sezioni in cui è scandita la mostra (Donna, Terra, Politica, Dolore) scopriamo sì una Frida abile a mettersi a nudo come nessuna prima di lei, ma anche attenta a coprirsi, quasi con pudore, al momento opportuno. Accade in Colonna spezzata, uno dei suoi quadri-icona, in cui il lenzuolo che copre le parti intime è stato aggiunto in un secondo momento, forse per distogliere i nostri sguardi morbosi. Incontriamo al Mudec anche una Frida attivista, legata con il cordone ombelicale al suo Paese (Radici, Autoritratto alla frontiera tra Messico e Stati Uniti): è una pasionaria tutt’altro che ripiegata su se stessa e comunica il viscerale legame con il Messico nelle potenti nature morte – una delle sorprese della mostra – e intingendo fiera la propria pittura nell’estetica precolombiana. Non è forse questo (anche) un atto politico, in pieno boom made in Usa?
Ben prima di tante osannate perfomer contemporanee, Frida usa il proprio corpo come manifesto artistico e strumento di protesta: lo fa negli autoritratti e quando è in posa davanti all’obbiettivo (i tanti scatti esposti, specie quelli di Muray, valgono da soli il biglietto). È una Frida resiliente quella che vediamo fin nella prima sala dove è esposta la lettera ad Alejandro, fidanzato dell’epoca: «La vita comincia domani», scriveva il giorno dopo l’incidente che le avrebbe travolto l’esistenza. E pazienza se davanti al breve documentario a colori con Frida e Rivera, complice la struggente musica di Brunori Sas, e davanti alle foto di quella stanza degli orrori che fu il suo bagno privato – busti, bende, stampelle: è nell’ultima sala – si è vinti dalla commozione. Ci sei riuscita ancora, Frida.