il Giornale, 1 febbraio 2018
La bomba Tunisia fucina di combattenti. E il nostro Paese come porto privilegiato
Nell’agosto 2016, fra le macerie della battaglia di Sirte, la capitale del Califfo dall’altra parte del Mediterraneo, è stata trovata una lista di volontari giunti dalla Tunisia in Libia per combattere la guerra santa. Accanto a sette nomi di terroristi tunisini c’era un appunto: «I fratelli hanno proseguito per l’Italia» via mare. Il colonnello dell’intelligence libica Ismail Shoukri confermava che lo Stato islamico «avrebbe fatto in modo di infiltrare sui barconi, fra i migranti, alcuni dei loro uomini provenienti da Sirte. Non escludiamo che siano fuggiti in Italia».
Lo stesso ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha lanciato di recente l’allarme sui volontari della guerra santa sopravvissuti alla sconfitta del Califfato che vogliono tornare a casa, magari per vendicarsi. Sul terrorismo la Tunisia è legata a filo doppio al nostro Paese. A cominciare dai veterani jihadisti «made in Italy», prima incarcerati da noi, poi espulsi a casa loro e alla fine liberati dalla primavera araba. I terroristi tunisini vissuti a lungo in Italia, che hanno cavalcato negli ultimi anni la guerra santa dalla Libia all’Irak erano una ventina secondo una fonte dell’antiterrorismo. Inevitabile che le nuove leve sopravvissute alla sconfitta facciano il percorso inverso tornando in Italia per poi proseguire in Europa. La Tunisia è l’unico Paese travolto dalla disastrosa primavera araba che cerca fra mille difficoltà di trovare una strada stabile. La crisi economica e la presenza radicata di movimenti salafiti non facilita la normalizzazione. Per questo sono ricominciate le partenze dalle coste tunisine, che potrebbero essere tranquillamente infiltrate dai terroristi.
Il legame con l’Italia è stato garantito nel tempo dalla vecchia guardia in parte morta in combattimento o catturata. I pezzi grossi del terrorismo made in Italy erano personaggi del calibro di Moez Fezzani, veterano dell’Afghanistan spedito a Guantanamo e poi rimandato in Italia da dove lo abbiamo espulso. Grazie alla primavera araba è tornato in libertà passando dalla Tunisia alla Siria e alla Libia. Per poi fuggire da Sirte che stava capitolando e venire catturato in Sudan, che l’ha estradato a Tunisi. Il più giovane emiro tunisino dell’Isis, Nouruddine Chouchane, aveva fatto l’operaio a Novara prima di aderire al Califfato. Ancora oggi non esiste la certezza assoluta che sia morto sotto un bombardamento Usa in Libia.
Altri pezzi grossi del terrorismo tunisino «made in Italy» sono Sami Ben Khemais Essid e Mehdi Kammoun, elementi di spicco del cosiddetto «gruppo di Milano». Frequentatori del centro islamico di viale Jenner nel capoluogo lombardo vennero arrestati nel 2001. Dopo 8 anni espulsi e adottati da Amnesty International. Una volta tornati in libertà in Tunisia hanno aderito ad Ansar al sharia, poi diventata la costola tunisina dell’Isis.
Se l’Interpol ha visto giusto e 50 terroristi tunisini si sono infiltrati in Europa attraverso l’Italia non è un caso. Nel triangolo fra Gallarate, Milano e Novara rimane un «humus», che ha attecchito pure in altre parti d’Italia, dove i combattenti jihadisti di ritorno possono trovare appoggi o ricostruire una rete.