Il Messaggero, 31 gennaio 2018
Torna dopo tre secoli la Madonna di Raffaello
Torna in Italia, e resterà a Palazzo Barberini a Roma fino all’8 aprile, un capolavoro andato via oltre tre secoli fa: la Madonna Esterházy di Raffaello Sanzio, del Szépmüvészeti Museum di Budapest. Un quadro fondamentale: non solo per quanto è bello; ma perché ci riporta ai giorni in cui l’artista lascia Firenze, per Roma: lo inizia sulle rive dell’Arno, lo conclude sul Tevere; sullo sfondo c’è un paesaggio tipicamente toscano, con dei ruderi romani in cui qualcuno vede la Torre dei Conti nei Fori, e le rovine del Tempio di Vespasiano. Nel 1508, nell’Urbe, con lui operano Michelangelo, e Leonardo: prodigio irripetibile. Raffaello eterna la dolcissima Madonna col Bambino e San Giovannino; di lì a poco, dipinge le Stanze, le Logge e molto altro. Se ne va dopo 12 anni, nel 1520: quel Venerdì santo, «i romani e gli stranieri tutti» gli sfilano davanti, «in lacrime».
A Firenze, resta un disegno preparatorio, esposto in copia nella piccola e stupenda mostra curata da Cinzia Ammannato. È un cartone da spolvero: non un bozzetto; ci sono i fori, per tradurlo sulla tavola di nemmeno 30 per 21 cm: ma non ancora i ruderi romani. Il quadretto non finito, Sanzio lo porta con sé. L’aveva chiamato, istigato forse da Bramante, anch’egli urbinate, Giulio II della Rovere. Appena eletto, sappiamo dal suo amico Paris De Grassis, nel Diario ancora manoscritto a Londra, disdegna le stanze del predecessore, Adriano VI Borgia, suo antico rivale: chissà che incubi, a dormire sotto l’Apoteosi della famiglia di Pinturicchio. E per sé, vuole nuove Stanze: per fortuna, appunto, quelle di Raffaello.
OPERE IN FUGA
Però, torniamo al nostro dipinto. È una del centinaio di Madonne, sempre bellissime, che egli realizza. Peccato che, in Italia, ne siano rimaste appena una decina. Questa fugge forse nel 1708: sul retro, un cartellino ricordava il dono di Clemente XI Albani alla principessa Elisabetta Cristina di Braunschweig-Wolfenbüttel, 17 anni, poi moglie di Carlo VI, e madre dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Passa pure per il Cancelliere Kaunitz e va agli Esterházy: da qui il suo nome. Nel 1870, vendono al museo 637 quadri, 3.500 disegni, 51 mila incisioni. Non è ancora finita: nel 1983, la Madonna è rubata con altri sei capolavori. La ritrovano, un po’ malmessa in una valigia in un monastero ortodosso, i carabinieri italiani della Tutela del patrimonio culturale. Il colpo era opera di cinque italiani: assicurati, come usa dire, alla giustizia.
La Esterházy è qui, spiega l’Ammannato, perché il museo ungherese è chiuso, e grazie a uno scambio. L’accompagnano, di Giulio Romano, massimo collaboratore di Raffaello nonché erede del suo studio, la Madonna Hertz donata da Henriette al museo per testamento nel 1913, e due copie antiche: di quella del garofano, già di Vincenzo Cammuccini e ora alla National di Londra; e un dettaglio di quella del velo ora a Chantilly. «Il cartellino sul retro se n’è andato», dice la curatrice, «in un restauro; la tavola è stata piallata, ed ora è spessa appena cinque centimetri»: per tentare, però invano, di ridurne la curvatura, di ben 22 cm.; il legno è sempre vivo, ed ha ripreso la sua antica forma di tronco. E a scorrere i capolavori di Raffaello in quel prodigioso periodo, viene da star quasi male. La Pala Colonna, che era a Perugia, è sparsa tra quattro musei del mondo: la tavola principale al Metropolitan di New York; la Pala Ansidei è a Londra, essa pure da Perugia, come la Predica del Battista; le Madonne Connestabile e Diotallevi, a San Pietroburgo e Berlino; la Cowper, invece, a Washington; i Santi Giorgio e Michele con il drago, tra il Louvre e la capitale Usa. E così via: perfino separata tra la le pinacoteche Borghese e Vaticana la perugina Pala Baglioni. Un motivo di più, per salutare con gioia questo, sia pur provvisorio, ritorno.