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 2018  gennaio 31 Mercoledì calendario

Potere d’acquisto in calo nel 2017: i salari crescono la metà dei prezzi

ROMA L’inflazione riprende la marcia e gli stipendi inseguono con il fiato grosso. Risultato: gli italiani perdono una bella fetta del loro potere d’acquisto. Anche perché in moltissimi (5,3 milioni) attendono ancora il rinnovo del contratto di lavoro. Un elemento che, ovviamente, lascia al palo i salari mentre i prezzi si muovono. Il problema è stato messo a fuoco ieri dall’Istat. Nel 2017 la retribuzione oraria media è cresciuta infatti solo dello 0,6% (il dato più basso mai registrato in almeno 35 anni: le serie storiche sono disponibili infatti a partire dal 1982) rispetto all’anno precedente. E mettendo questo dato a confronto con l’inflazione, si scopre che quest’ultima è cresciuta esattamente il doppio, segnando +1,2% rispetto all’anno precedente. Nel 2016 la questione non si era affatto posta in quanto la deflazione allo 0,1% aveva aiutato, almeno in parte, a rimpolpare il potere d’acquisto dei lavoratori. Situazione invece aggravata lo scorso anno dal seppure lieve aumento dei prezzi al consumo. Guardando ai singoli settori, un record negativo lo segnano gli aumenti medi annui delle retribuzioni dell’industria (+0,4%) e dei servizi privati (+0,8%). Mentre se si entra nel dettaglio dei singoli comparti, quelli che presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono forze armate (3%) e forze dell’ordine (2,7%). Variazioni nulle invece negli altri comparti della Pa e nei settori dei pubblici esercizi e alberghi, dei servizi di informazione e comunicazione, delle telecomunicazioni. 
I TEMPI
L’Istat osserva una diminuzione nel settore dell’acqua e servizi di smaltimento rifiuti (-0,9%). In questo quadro, spicca il notevole ritardo accumulato sul fronte dei rinnovi contrattuali. Gli accordi in attesa di rinnovo a fine dicembre sono ben 35 e relativi appunto a 5,3 milioni di dipendenti (41,3%). L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è in media di 71,5 mesi, il tempo più lungo mai registrato dal 2005 e l’attesa media calcolata sul totale dei dipendenti è di 29,5 mesi ed è in crescita rispetto a un anno prima. In riferimento al solo settore privato, la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 24,1%. Per la Pa, sempre a dicembre 2017, tutti i dipendenti risultano con il contratto scaduto dalla fine del 2009 e pertanto i mesi di vacanza contrattuale sono 96. Questi dati non fanno che riflettere gli allarmi globali già lanciati nei mesi scorsi dagli organismi internazionali. Se infatti a ottobre il presidente della Bce, Mario Draghi, sui salari si era espresso con un netto «non ci siamo» a settembre anche l’Fmi aveva fatto notare che la crescita delle retribuzioni è ancora bassa rispetto ai livelli pre-crisi.
Sul fronte dei rinnovi, invece, i dati dicono che nel periodo ottobre-dicembre 2017 non sono stati recepiti nuovi accordi ma nel corso del 2017 sono stati firmati 16 contratti (tra questi spiccano i settori tessile, vestiario e maglierie, servizi socio-assistenziali e legno) a cui fanno riferimento circa 1,2 milioni di dipendenti. Alla fine di dicembre 2017 i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica riguardano 7,6 milioni di dipendenti (58,7% del totale) e corrispondono al 55,8% del monte retributivo. Sia per il settore privato, sia per il totale dell’economia l’incidenza dei contratti collettivi in vigore rispetto a quella rilevata a dicembre 2017 (rispettivamente pari a 76,4% e 55,8%) si ridurrebbe a partire da gennaio 2018 rispettivamente al 71,2% e al 52%.