Il Messaggero, 1 febbraio 2018
«Io, volontario per dieci euro l’ora. La gente mi dovrebbe ringraziare»
ROMA «Sapevo che erano previsti rimborsi ma non conoscevo le cifre, mi sembrava però che non ci fosse nulla di gravoso o pericoloso e quindi mi sono detto: perché no? Avevo 25 anni. Oggi ne ho 33 e partecipo ancora come volontario alle sperimentazioni. Non può essere un lavoro, non paga abbastanza, ma è un valido extra. In una sola sperimentazione ho guadagnato fino a 2600 euro». In media dieci euro l’ora. Giulio Zampini vive a San Martino Buon Albergo, nel veronese, dove lavora come personal trainer e cameriere. Ed è una cavia umana. «Non mi infastidisce essere chiamato cavia – dice – lo fanno anche i miei amici per scherzare. La gente quando sa cosa faccio, spesso si stupisce, c’è chi dice che non lo farebbe mai, chi è curioso, chi chiede come candidarsi». E gli altri volontari? «Molti di quelli che ho conosciuto sono studenti di infermieristica o medicina. Ci sono pure lavoratori. Mai visto persone con un bisogno disperato di soldi». La sua vocazione è nata per caso quando, studente di Scienze Motorie in visita in un Centro Ricerche Cliniche, ha lasciato i dati per partecipare a sperimentazioni, attirato dalla curiosità e dal rimborso. La prima chiamata, alcuni mesi dopo.
LA FAMIGLIA
«La famiglia non mi ha ostacolato, mi ha solo invitato a parlare con il medico per assicurarmi che non fosse una cosa rischiosa. In media mi chiamano una volta l’anno. Ho rifiutato solo due volte: una perché si chiedeva la disponibilità per venti giorni, dalle 8 alle 10, e il rimborso non giustificava il disturbo, un’altra perché sarei dovuto rimanere nella struttura 15 giorni e visto che sto bene e posso evitarlo ho detto no. Non mi sono mai tirato indietro per paura. Perlopiù si tratta di testare quanto tempo impiegano i farmaci a essere assorbiti dall’organismo e quanto a essere eliminati. Sono pasticche microscopiche. L’unico disagio è dover rispettare regole rigide anche nei pasti». Le cavie umane all’estero sono richieste, ma Giulio non è interessato. «Ho visto come vengono trattati i volontari altrove. In Italia i comitati etici sono rigidi, così i controlli. Ci sono Paesi nei quali a chi partecipa si richiede di firmare una liberatoria, da noi è prevista un’assicurazione e non è mai successo nulla». Cosa pensa dello scandalo tedesco? «C’è tanta ipocrisia. Molti usano farmaci e non sanno che dietro c’è qualcuno che li ha testati. Dovrebbero ringraziare chi fa i test. Non sono disposto a mettere la vita a rischio per la scienza, ma se nessuno fosse salito su un razzo, non avremmo mai avuto astronauti».