la Repubblica, 1 febbraio 2018
L’eredità incerta del Jobs act. Tornano gli inattivi e il lavoro è in frenata
ROMA «Il Jobs Act ha fallito, addio crescita dell’occupazione». «Ma quale fallimento, la disoccupazione è ai minimi dall’agosto 2012». Le reazioni di opposizioni e maggioranza ai dati Istat del dicembre scorso dipingono il mercato del lavoro come il classico bicchiere ora mezzo vuoto ora mezzo pieno. Mai forse come questa volta, luci e ombre si mescolano lasciando un quadro occupazionale in gran parte incerto.
Nel dicembre 2017 si contano 47 mila disoccupati in meno rispetto a novembre e 273 mila in meno nell’ultimo anno. Di conseguenza, il tasso dei “senza lavoro” è sceso al 10,8 per cento, mai così basso dall’agosto 2012. Anche la disoccupazione giovanile, sia pure a livelli ancora record in Europa, si è ridotta fortemente: 32,2 per cento, quasi sette punti in meno rispetto all’anno prima. Tutto bene? Solo in parte. Perché nell’ultimo mese, accanto al calo dei disoccupati, c’è stata anche una riduzione dell’occupazione (66 mila in meno) e soprattutto un boom degli “inattivi”, ossia di coloro che non lavorano né cercano lavoro (più 112 mila). Questo ci induce a pensare che quei 47 mila disoccupati in meno non solo non hanno trovato lavoro ma addirittura non lo cercano più.
Ovviamente, siamo solo di fronte a un andamento mensile, quindi è difficile dire se si tratta di una inversione di tendenza o invece è solo un fenomeno del tutto transitorio o addirittura statisticamente rivedibile. «Commentare i dati di un solo mese è fuorviante – dice il capo del team economico di Palazzo Chigi, Marco Leonardi – se si guarda l’ultimo biennio, gli inattivi sono scesi di mezzo milione. Negli ultimi dodici mesi abbiamo avuto 173 mila occupati in più, e la disoccupazione è al minimo dal 2012».
«Il problema – spiega l’economista Enrico Giovannini – è che oggi gli occupati sono più o meno gli stessi di agosto, dunque la crescita si è per ora sostanzialmente fermata. E quando c’è un aumento, esso riguarda solo i dipendenti a termine, mentre quelli permanenti scendono». L’Istat ci dice infatti che rispetto a un anno fa i lavoratori a tempo indeterminato sono 25 mila in meno. È la prima volta che succede dal 2015, cioè da quando furono introdotti il Jobs Act e gli sgravi contributivi. Da allora erano sempre cresciuti, sia pure con ritmi via via più lenti a causa del venire meno degli incentivi.
A che cosa è dovuto questo stop? «Da una parte – spiega Giovannini – può dipendere da un certo rallentamento dell’economia avvenuto negli ultimi tempi, a cominciare dall’industria. Dall’altra, è probabile che molte imprese, prima di assumere, abbiano voluto aspettare che scattassero dal primo gennaio 2018 gli incentivi introdotti dalla legge di bilancio per chi dà lavoro permanente agli under 35».
«È possibile – conferma Leonardi – che l’attesa dei nuovi sgravi strutturali all’assunzione dei giovani possa avere avuto un peso sui dati di dicembre ma limitatamente ai giovani. In ogni caso, la nuova sfida per i prossimi anni è introdurre qualche limite ai contratti a termine e contemporaneamente ridurre strutturalmente il costo del lavoro per tutti. Non temo invece che scattino dal 2018 i licenziamenti, con lo scadere dei tre anni di sgravi introdotti nel 2015. E questo per diverse ragioni, due in particolare: perché la ripresa continua e non c’è ragione di licenziare, e perché chi volesse sostituire vecchi lavoratori con giovani meno costosi, non lo potrebbe fare per legge. Infatti, chi licenzia qualcuno nei sei mesi precedenti ( o successivi) all’assunzione, perde l’incentivo. Inoltre l’entità dello sgravio è comunque tale da non determinare nessuna convenienza economica a licenziare per assumere un nuovo lavoratore incentivato».
Licenziamenti a parte, vedremo nei prossimi mesi se la frenata occupazionale del dicembre scorso sarà confermata o meno. E se continuerà a penalizzare soprattutto la fascia di età tra i 35 e i 49 anni, che nell’ultimo mese ha perso 34 mila occupati e nell’ultimo anno 204 mila. Anche su questo aspetto si scatena la reazione delle opposizioni. Che però non considerano un fatto: è cioè che al netto degli andamenti demografici ( ci sono sempre meno giovani e sempre più anziani), l’occupazione annua dei trentenni e dei quarantenni resta stabile, mentre aumenta quella di tutte le altre fasce di età.