il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2018
La via crucis bancaria fa tappa al Creval. I perché di un disastro
È passata sottotraccia negli ultimi anni, ma la crisi gravissima del Credito Valtellinese non ha nulla da invidiare alle emorragie bancarie più note: da Mps a Carige alle banche venete. Ora è arrivato l’epilogo. La banca, guidata dal 2010 da Miro Fiordi, il mese prossimo dovrà dare il via a un aumento di capitale da 700 milioni per sopravvivere. Una richiesta monstre ai 150 mila soci, dato che vale quasi 6 volte il valore di Borsa, crollato a soli 130 milioni.
È crollato in questi anni sia il conto economico che il valore delle azioni. Basti pensare che, solo dall’estate del 2015, il titolo del Creval ha perso il 90% del suo valore. Mille euro investiti allora ne valgono oggi solo 100. E l’alternativa se non si aderirà al mostruoso aumento di capitale è quella dell’azzeramento totale del valore delle azioni. Una caduta di Borsa così violenta non è che la coda velenosa di una gestione che ha scavato perdite notevolissime.
Dal 2010 la banca di Sondrio ha lasciato sul campo la bellezza di oltre 1,1 miliardi di perdite con gli anni bui del 2012, 2014 e 2016 chiusi tutti con oltre 300 milioni di perdite. Ora si sono aggiunti i 400 milioni di rosso solo nei primi 9 mesi del 2017. Un disastro figlio sia delle svalutazioni sui crediti malati sia delle perdite fatte registrare dagli avviamenti della dispendiosa campagna acquisti che sia Fiordi che il vecchio dominus Giovanni De Censi hanno compiuto negli anni passati.
La campagna acquisti affogata nelle sofferenze
L’abito della banca locale, del territorio, tra l’altro un territorio ricco nell’estremo Nord della Lombardia, è sempre andato stretto ai vertici. E così contrariamente alla consorella, la Popolare di Sondrio che è rimasta radicata in Valtellina, il Creval ha comprato banche un po’ ovunque: dalla Sicilia, al Lazio alle Marche: erano gli anni dell’espansione, del sogno da protagonisti di De Censi e Fiordi. Un sogno che è diventato un incubo. Non solo lo shopping è costato oltre 600 milioni di svalutazioni, ma il piccolo Credito Valtellinese ha imbarcato con le acquisizioni anche le sofferenze.
Il vulnus scoperto, e non da ieri, è proprio quel livello elevatissimo dei crediti malati sotto la gestione Fiordi. Tuttora il Creval ha in pancia la cifra record di 4 miliardi di crediti deteriorati lordi. Valgono il 25% del portafoglio impieghi e tre volte il capitale della banca. Un livello simile alle ex banche venete prima del crac. Ed è per questo che il patrimonio andrà pesantemente rafforzato per non fallire. La vendita, che si è prefissata la banca, di metà di quelle sofferenze produrrà un’altra montagna di perdite che eroderanno il capitale. Una mossa della disperazione, troppe volte rimandata.
La Popolare di Sondrio, che non ha giocato la carta dell’espansione a tutti i costi ha prodotto, dal 2010, 700 milioni di utili contro le perdite miliardarie della cugina valtellinese. Non solo. La Popolare ha aumentato gli impieghi da 21 a 25 miliardi, mentre il Creval, che aveva crediti malati doppi della rivale, ha dovuto chiudere i rubinetti pesantemente. I prestiti del Creval sono scesi di oltre il 20 per cento negli anni dal 2010 in poi. Crediti negati e boom delle sofferenze che, dal 2014 almeno, superano un quinto del portafoglio impieghi, il doppio della media del sistema bancario italiano. Una crisi lampante, evidente ma che è passata quasi inosservata.
Non ci si aspetta che una banca che sta nel profondo Nord della Lombardia, area ricca, turistica, affondi sotto il peso dei prestiti non rimborsati. Ora la banca è a un bivio. Senza un successo pieno della richiesta di 700 milioni al mercato, il peso delle sofferenze rischia di schiacciare per sempre la banca, mutuando il copione già visto in altre crisi bancarie. Vendere 2 miliardi di Npl (non performing loan, i crediti deteriorati) è necessario per rimettere in linea la banca con il resto del sistema. Ma ancora una volta tocca ai soci, già coinvolti in altre richieste di denaro, mettere mano al portafoglio. E quando hai perso già il 90 per cento del tuo investimento la fiducia è sparita del tutto.
Vertici pagati a peso d’oro durante la crisi
In questo clima sorprende la tenuta dei vertici. A partire da quel Miro Fiordi, oggi presidente, dal 2003 direttore generale e dal 2010 al 2016 amministratore delegato della banca. Negli anni in cui il suo Creval ha cumulato oltre 1 miliardo di perdite il suo emolumento da amministratore delegato veleggiava attorno a 1,2 milioni di euro. Mai intaccato dalla crisi. Da maggio 2016 Fiordi, anche se presidente, non è più dipendente dell’istituto: è entrato nello scivolo pensionistico del Fondo di solidarietà. Ha incassato un incentivo all’esodo di 404mila euro. E nel 2016 è stato remunerato da presidente della banca con 980 mila euro. Per Fiordi la crisi del Creval non c’è mai stata. Così come per il vecchio patron della banca, Giovanni De Censi, ora presidente onorario, che solo nel 2015 ha incassato 1 milione di euro di remunerazione.
Vallo a dire ai 150 mila soci che hanno perso quasi tutti i loro risparmi investiti sul Creval.