il Fatto Quotidiano, 1 febbraio 2018
Truffe cammellate
Purtroppo l’ipocrisia, che fa rima con amnesia, dei giornaloni italiani e stranieri ha contagiato anche Romano Prodi. È l’ipocrisia-amnesia di chi, nella migliore delle ipotesi, non dice mai una parola su Silvio Berlusconi e, nella peggiore, ne parla per riabilitarlo. Ha cominciato Eugenio Scalfari, ha proseguito Carlo De Benedetti (che non si capisce perché abbia litigato con Scalfari, visto che su “Di Maio peggiore di tutti i mali”, persino di B., concorda in pieno), poi s’è pentito Bill Emmott, infine Le Monde s’è addirittura scusato per aver accostato B. alla mafia (per una volta che ne aveva azzeccata una). E l’altroieri è arrivato pure il New York Times a spiegarci che il Caimano “non è più lo zimbello della politica europea” e che l’unica scommessa sicura delle prossime elezioni in Italia è che sarà lui il kingmaker”, che “improvvisamente non sembra così male”, che ora si presenta addirittura come un saggio e moderato statista”. Ma questi signori lo sanno o non lo sanno che il saggio e moderato statista, quello che sarebbe meglio di Di Maio, è un pregiudicato per frode fiscale, un indagato per le stragi mafiose del 1993 (venti morti e parecchi feriti fra Firenze, Roma e Milano), un pagatore seriale di Cosa Nostra e un pluriprescritto per corruzione semplice e giudiziaria, per falso in bilancio e per compravendita di senatori avversari? Un tempo la stampa estera ci aiutava a ricordare ciò che quella nazionale tentava di farci dimenticare. Ora collabora con quella nostrana per farci perdere il poco di memoria rimasto.
Prodi intanto ci spiega che Renzi, quello che prima ha messo alla porta i bersaniani, poi ha tradito il “partito delle primarie” facendosi le liste dei nominati come pareva a lui, infine ha fatto fuori le minoranze di Orlando, Cuperlo ed Emiliano per imbarcare una carrettata di fedelissimi suoi e berlusconiani, “lavora per l’unità del centrosinistra”. Testuale. Infatti, in nome dell’unità del centrosinistra, il Professore a Bologna dovrà votare Casini, che per 20 anni è stato eletto col centrodestra, contro una figura storica del centrosinistra bolognese come Vasco Errani, che corre con LiberieUguali, dunque a Prodi non piace più perché “senza coalizioni non si vince”. E quale sarebbe, di grazia, la “coalizione” di “centrosinistra”? Quella del PdR (Partito di Renzi) con tre foglie di fico appese alle pudenda: +Europa della premiata ditta Bonino-Tabacci (entrambi già al governo con B.), Civica e Popolare della Lorenzin&C. (alfaniani da sempre in lista con B.) e Insieme dei trascinatori di folle Santagata (ulivista), Bonelli (verde) e Nencini (socialista).
Una coalizione-patacca, come tutti sanno, visto che le tre liste non hanno alcuna speranza di superare il 3% per entrare in Parlamento, ma con l’1% porteranno voti al mulino di Renzi, moltiplicando i suoi seggi. Una truffa ben nascosta nel Rosatellum, che indurrà molti ingenui elettori di centrosinistra che detestano Renzi a illudersi di punirlo votando Bonino o Insieme, senza sapere che i loro voti andranno tutti a Renzi e al suo Giglio Fradicio: bella punizione, non c’è che dire. Prodi questo trucco lo conosce benissimo e, se non lo svela, è perché spera che molta gente ci caschi. Ma non sarà facile, viste le candidature del Pd e anche di FI, fatte apposta per spalancare la strada al governo Renzusconi prossimo venturo. Renzi ha silurato l’antiberlusconiano Di Pietro, che aveva preannunciato il suo no a un governo-inciucio. B. ha ricambiato lasciando a casa il forzista antirenziano Augello, troppo battagliero in Commissione Banche sullo scandalo Etruria-Boschi. Il Caimano e il Caimanino non si attaccano mai a vicenda, preferendo sparare entrambi sui 5Stelle e dichiarare pubblicamente che il nemico pubblico numero 1 è Di Maio.
Siccome poi B. era assediato da processioni di ex amici tornati a Canossa, anzi ad Arcore, e non poteva garantire un posto a tutti, l’amico Matteo se li è caricati sulle spalle e glieli ha piazzati in collegi sicuri del Pd. Tanto dopo si fa tutta un’ammucchiata: raccolta differenziata fino al 4 marzo, indifferenziata dopo. In Lombardia chi vota Pd deve ciucciarsi Paolo Alli, già braccio destro di Formigoni e il consigliere regionale Pdl Angelo Capelli. In Emilia Romagna, oltre a Casini e alla Lorenzin, i compagni pidini dovranno sorbirsi Sergio Pizzolante, eletto con FI nel 2006, nel 2008 e nel 2013, ora targato Pd. In Toscana dovranno digerire Gabriele Toccafondi, ex leader dei Giovani Azzurri e già capo-gabinetto di Bonaiuti; e l’ex giudice Cosimo Ferri, già ras di Magistratura Indipendente, sottosegretario dal 2013 in quota FI. A Pescara dovranno inghiottire Federica Chiavaroli, ex coordinatrice del Pdl, che ora ha levato la “l”. In Campania dovranno cuccarsi Giuseppe De Mita, nipote d’arte, ex Udc come lo zio. In Basilicata dovranno deglutire Guido Viceconte, da sempre con B. In Calabria dovranno votare per Nico D’Ascola, ex socio di Ghedini ed ex difensore di B. e Scopelliti; e pure Giacomo Mancini jr., sei partiti alle spalle, primo dei non eletti di FdI alle ultime Regionali. In Sicilia, oltre a una pletora di cuffariani e lombardiani, dovranno sopportare Gioacchino Alfano, ex FI ed ex Pdl come il suo omonimo. Sarebbe questo il Pd che “lavora per l’unità del centrosinistra”?
Siccome non c’è limite all’ipocrisia, l’altroieri Repubblica titolava in prima pagina “M5S, il passo falso sui candidati” perché – orrore – ne avevano due iscritti al Pd e non se n’erano accorti. Invece, se Renzi che candida una ventina di berlusconiani e una vagonata di inquisiti (tutti peraltro del Pd), e non per sbaglio ma apposta, nessun passo falso. È tutto calcolato. Dicono “coalizione” e già pensano a B. Cioè alla colazione.