Il Sole 24 Ore, 1 febbraio 2018
Frida, la forza di una donna oltre il mito
Figlia di Wilhem e moglie di Diego Rivera, Frida Kahlo è un’icona pop sempre viva, conosciuta e amata più per la sua drammatica biografia (traumi familiari, la tormentata relazione con Diego, il desiderio frustrato di essere madre, l’impegno politico, la tragica lotta contro la malattia) che per la sua pittura (nella foto un particolare dell’allestimento).
La sua arte è stata spesso rimpiazzata dalla vita e l’artista irrimediabilmente ingoiata dal mito.
Ora la grande mostra «Frida Kahlo. Oltre il mito», inauguratasi ieri (fino al 3 giugno) al Mudec – Museo delle Culture di Milano (via Tortona 56) e interamente prodotta da 24 Ore Cultura (costo oltre 2 milioni di euro) «si concentra sul suo ruolo di artista nella storia messicana del XX secolo – come spiega il curatore Diego Sileo – e presenta 318 opere tra dipinti, disegni, fotografie, lettere e documenti d’archivio inediti non solo per l’Italia, ma per il resto del mondo».
Il progetto
Il progetto espositivo, frutto di sei anni di studi e ricerche, delinea una nuova chiave di lettura dell’artista (1907-1954), evitando ricostruzioni forzate, interpretazioni sistematiche o letture biografiche troppo comode. Le opere in mostra provengono tutte dal Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e dalla Jacques and Natasha Gelman Collection di New York – le due più importanti e ampie collezioni di Frida Kahlo al mondo – ma anche da collezioni private e pubbliche come il Phoenix Art Museum, il Madison Museum of Contemporary Art e la Buffalo Albright-Knox Art Gallery.
«La cultura delle differenze è al cuore di questa mostra» ha affermato ieri Filippo Del Corno, assessore alla Cultura del Comune di Milano, inaugurando anche l’altro evento che in parallelo accompagnerà la mostra di Frida Kahlo fino al 3 giugno: «Il sogno degli antenati. L’archeologia del Messico nell’immaginario di Frida Kahlo» a cura di Davide Domenici e Carolina Orsini.
La visita dovrebbe proprio iniziare da qui, dalle due lunghe vetrine ricurve che si affacciano sulla nuvola centrale del museo dove, in perfetto dialogo con la mostra-evento, si svolge un articolato racconto fatto di oggetti archeologici ed etnografici messicani della collezione permanente del Mudec. Le foto storiche e le immagini dei dipinti di Kahlo – poste a corredo dei manufatti – documentano quanto il mondo indigeno e il passato precolombiano abbiano costituito elementi fondanti del linguaggio pittorico della Kahlo e della sua poetica. Frida indossava molti gioielli di giada, quella pietra verde ritenuta dagli Aztechi la più preziosa di tutte per la sua lucentezza e in grado, secondo le antiche credenze, di fare germinare le piante e la vita. Per questo suo potere di vincere la morte la giada era utilizzata per forgiare le maschere funerarie. Ma Frida Kahlo amava anche avvolgersi in ampi scialli indigeni – e in mostra se ne vedono alcuni di lana ricamata detti Rebozo – e viveva circondata da scimmiette e cagnolini senza pelo (gli xolotl). Sono gli stessi animali che entrano nei suoi autoritratti a fare da sfondo e spesso rappresentano il suo alter ego, il suo “Nahualli”; il mondo indigeno, infatti, credeva che animali e uomini condividessero un’unica essenza ed erano parte della stessa persona.
Arte e identità
Insieme al marito l’artista collezionò molti reperti di archeologia azteca: sculture, vasi, figurine fittili teotihuacane e ceramiche del Messico occidentale. Nel 1941 Diego Rivera fece costruire nella loro Casa Azul una piramide azteca per ospitare parte della loro collezione d’archeologia; sculture di cani e manufatti precolombiani entravano nel loro paesaggio quotidiano. Sono gli stessi che costituirono il lessico di Frida Kahlo, un linguaggio sia identitario che estetico, un patrimonio di forme e significati che le permise di esprimere la sua messicanità, tema portante di quella vera e propria performance che fu tutta la sua vita. Anche il motivo del cuore palpitante e sanguinante, tanto caro alla civiltà azteca, entra nei dipinti di Frida e nel suo stesso corpo d’artista, ricostruito attraverso vistose acconciature floreali, abiti e gioielli etnici, le radici indigene della sua persona. Lo si vede bene nel dipinto «Radici», un olio su masonite del 1943, dove l’artista si ritrae stesa a terra; con piglio surrealista si descrive come fosse un tubero, sdraiato sulla superficie asciutta e rocciosa de El Pedregal de San Angel, l’area in cui Rivera – all’epoca del dipinto – aveva già iniziato a costruire il Museo Anahuacalli per ospitare la sua collezione di figure preispaniche.
La mostra «Frida Kahlo. Oltre il mito», nasce perciò da un’intuizione originale e intelligente perché inserisce la vicenda dell’artista in una precisa temperie politica, quella del Messico post rivoluzionario (1910- 1917) che, per creare una storia patria condivisa, ricorse alla riscoperta del passato indigeno. Frida e Diego se ne fecero attivamente portavoce, aderendo per altro all’internazionale comunista e nel 1933 ospitando in Messico il dissidente russo Trotskij, mandato in esilio da Mosca come un eroe romantico.
«Il 2018 si apre al Mudec con questa mostra che riteniamo il progetto più importante prodotto dalla sua inaugurazione» ha dichiarato Franco Moscetti, amministratore delegato Gruppo Sole 24 Ore. «Dal 2015 a oggi siamo a 1,4 milioni di visitatori – ha proseguito Moscetti – e ci auguriamo di raggiungere i due milioni entro la fine dell’anno». Le visite prenotate – a mostra ancora chiusa – sono già 80mila e con le altre due mostre in programma nei prossimi mesi (a giugno un evento immersivo e multimediale dedicato ad Amedeo Modigliani e in autunno una grande antologica di Paul Klee) l’obiettivo da raggiungere non è poi così lontano.
Dal 1954 le ceneri di Frida sono in un recipiente precolombiano esposto nella Casa Azul di Cayoacàn, in Messico, ma il suo spirito è ancora indomito, nonostante il suo nome – di origine tedesca – significhi pace.