Libero, 30 gennaio 2018
Gandhi, il pacifista ascetico tutto sesso e violenza sulle donne
Aveva una Grande Anima, su questo non c’è un dubbio, ma anche un corpo con esigenze particolari da soddisfare. Mohandas Gandhi, per tutti il Mahatma, la guida spirituale e politica dell’indipendenza indiana, di cui oggi ricorre il 70mo anniversario della morte, pur avendo scelto la via della castità (lo fece a 37 anni, nel 1906), continuò a essere ricercatissimo dalle donne, a cedere al loro fascino e a vivere in modo originale la sessualità. Teorico e capofila del movimento di resistenza non violenta, non rinunciava a praticare violenza verbale nei confronti dei figli, o fisica nei confronti delle donne. Pacifista convinto e anti-britannico per eccellenza, aveva partecipato da giovane alla guerra boera nelle fila dell’esercito di Sua Maestà.
Queste e altre contraddizioni emergono nel bellissimo Gandhi. La biografia illustrata (Rizzoli, pp. 330, euro 29) di Pramod Kapoor, editore indiano che ha raccolto testimonianze, documenti e fotografie inedite del Mahatma, tracciandone un profilo controcorrente e soffermandosi soprattutto su due aspetti: la vita privata e la formazione giovanile. Avvocatuccio impacciato, studente a Londra e poi operativo in Sudafrica, Gandhi dovette la sua fortuna a uno spiacevole episodio capitatogli su un treno allorché, uomo di colore nella terra dell’Apartheid, aveva osato viaggiare in prima classe. Scaraventato fuori, si convinse che era l’ora di combattere per i diritti degli oppressi e delle popolazioni colonizzate. Sicchè, girando in lungo in largo per il Paese con «le orecchie ben aperte e la bocca chiusa», ebbe modo di conoscere l’India e di farsi conoscere dagli indiani. Poi alcuni colpi di genio gli guadagnarono un posto tra i grandi del ’900: l’invenzione della satyagraha, ossia la resistenza attraverso la disobbedienza pacifica, il digiuno politico, lo stile di vita dimesso pur essendo lui l’uomo più potente dell’India. Ma ciò non elimina i tanti cortocircuiti legati alla sua figura, a partire dalla scelta di vivere in totale castità, dopo una giovinezza in cui si era sposato (a soli 13 anni!) e aveva avuto quattro figli dalla moglie Kasturba. Eppure, come fa notare Kapoor, Gandhi aveva fin troppe ammiratrici per vivere da asceta: di una di queste, Sarala Devi Choudhurani, nipote del premio Nobel Tagore, il Mahatma si invaghì, al punto che, per sua stessa ammissione, fu sul punto di far naufragare il suo matrimonio. Poi, per tutta la vita, portò avanti la pratica della yagna, ossia l’abitudine di dormire completamente nudo in compagnia di alcune sue seguaci, compresa la pronipote adolescente Manubehn. Ritiro spirituale collettivo o erotismo occulto di gruppo?
Di sicuro, Gandhi non mancò di usare le maniere forti con le donne a lui più vicine. Schiaffeggiò e fece piangere la moglie, salvo poi redimersi, sostenendo di aver imparato così la prima lezione di ahimsa, cioè di nonviolenza. Picchiò anche la sua segretaria, Sonja Schlesin, “rea” di aver fumato una sigaretta e di tenere le gambe penzoloni sul tavolo del suo studio. E, più in generale, si mostrava autoritario nei confronti delle accolite, imponendo loro scelte e pratiche affettive, come l’obbligo di rimanere caste nonostante fossero sposate... Forse l’approccio più tirannico lo ebbe col figlio Harilal, cui Gandhi negò affetto, impedendogli perfino di studiare. Come lo stesso Harilal scriveva al padre in una lettera qua per la prima volta pubblicata, «non ti sei assolutamente curato di noi» e ci hai «trattati con disprezzo», «come il direttore di un circo con i suoi animali».
Non sarebbe male neppure ricordare come il verbo gandhiano della non violenza si tradusse spesso in rivolte sanguinose, vedi quella di Bombay del 1921, e non riuscì a impedire l’escalation di odio tra indù e musulmani. Altrettanto interessante è sapere che, mentre Mussolini ebbe modo di apprezzare Gandhi, accogliendolo a Roma nel 1931, Winston Churchill ne era disgustato, definendo «nauseante vedere quest’eversivo avvocato che oggi si atteggia a fachiro».