Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 30 Martedì calendario

A furia di riabilitare Silvio, lo faranno Santo

I contorcimenti delle élite sono qualcosa di straordinario. Complicatissimi itinerari cerebrali, anni e anni di riflessioni pensose col sopracciglio alzato insieme al complesso di superiorità, per giungere alle conclusioni che il popolo libero e (quando riesce) votante aveva tratto in diretta. 
Il caso più spettacolare di conversione recente delle élite sta indubbiamente avvenendo con Silvio Berlusconi. Dopo Bill Emmott, il direttore dell’Economist ai tempi del famigerato «inadatto a governare», che ha definito il Cavaliere il possibile «salvatore politico dell’Italia». Dopo Le Monde, che si è scusato perché, al contrario di quanto dedussero i segugi parigini dopo un copia&incolla mal fatto dei segugi nostrani, «non c’è alcuna prova che Fininvest e Silvio Berlusconi abbiano potuto beneficiare di somme di origine mafiosa». Dopo l’appoggio dichiarato dell’“amico” Jean Claude Juncker, della signora Merkel con cui il rapporto è sempre stato «eccellente», persino di Eugenio Scalfari, per scendere di parecchi gradini nella catena di comando del pensiero dominante. Buon ultimo, ma forse più clamoroso di tutti, visto i toni e la vastità dell’articolessa, arriva The Guardian, la Bibbia del laburismo britannico. 
«Ecco come Silvio Berlusconi ha realizzato la sua resurrezione politica», è il titolo del reportage sulla ridda elettorale nostrana. Tesi di fondo, esposta apparentemente a malincuore, ma con una ridondanza sospetta: «È lui che comprende davvero il Paese e la sua complessità». Come a noi spelacchiati osservatori di provincia risulta evidente fin dal 1994, dopo una vittoria elettorale inventata in tre mesi contro partiti che erano stati tra i fondatori della Repubblica, ma siamo lieti che le nostre rustiche intuizioni siano diventate le verità rivelate del Guardian. «Non si può negare» ci dicono i prof di giornalismo «che Berlusconi sia il politico con il maggior slancio» in vista del voto di 4 marzo, anche perché «con lui al timone la coalizione di centrodestra appare molto più unita rispetto all’alternativa di centrosinistra», e chissà quante settimane di duro lavoro d’inchiesta saranno servite per rilevare questa differenza. 
In ogni caso, s’interroga lacerato il Guardian, perché? Come è potuto tornare al centro della scena? Pare che oggi in Italia vi sia «un vuoto nella leadership», e che il Cavaliere sappia «come cogliere un’opportunità». Di più, e qui il climax raggiunge l’apice, siamo al rinnegamento completo di anni di snobismo progressista londinese ed europeo: «È ancora un politico naturale». Troppa grazia. Troppa davvero, a pensarci. E non è sufficiente, per spiegare l’ennesimo carpiato proberlusconiano dell’establishment, l’abituale allusione precotta alla «funzione moderatrice» che Silvio eserciterebbe su Salvini, buona per gli allocchi colti che viaggiano col Guardian sotto braccio. Ci deve essere qualcosa di più profondo, se l’orchestra del politically correct europeo si è improvvisamente messa a suonare il jingle della campagna elettorale di Forza Italia. Sarà che il Cav non è (al momento) più eleggibile. Sarà che il circolo degli illuminati è convinto di averlo addomesticato, di aver ricondotto la sua eccezione alla norma. Sarà che la parola d’ordine, da quelle parti, è oggi più che mai grande coalizione. Comunque sia, la reazione agli ammiccamenti delle élite non può che essere una. Diffidare, sempre.