la Repubblica, 31 gennaio 2018
Lezioni di vita sul ring il Maestro che strappò i suoi ragazzi ai clan
Immaginate un paese del Sud, uno di quelli dal passato agricolo, che inizia ad avere una prima forma di industrializzazione e si gonfia a dismisura sino a diventare un agglomerato di quarantamila abitanti. Stiamo parlando di Marcianise, circa venti chilometri da Napoli. Immaginate questo territorio negli anni ’70: non c’era nulla, solo il lavoro duro nelle campagne, la possibilità di ottenere un posto nei cantieri con il voto di scambio, la sedia in Comune come massima ambizione e una criminalità che di lì a qualche anno sarebbe diventata opprimente. Ecco, proprio qui, un uomo ha avuto il sogno di poter cambiare il senso delle cose insegnando boxe.
Quell’uomo era Mimmo Brillantino e nel 1978, in un garage lì vicino, a Capodrise, aprì una palestra insieme ad altri appassionati di pugilato. Non l’aprì con l’intento di fare soldi: aveva già il suo stipendio da sottufficiale dell’Aeronautica militare. Era solo un garage, ma lo chiamarono “Excelsior”, serviva un nome che racchiudesse in sé tutta la forza del sogno. Il ring venne costruito con le pedane della frutta, le corde con trecce di canapa presa in campagna.
Brillantino e i suoi amici seppero trasformare quel garage riadattato artigianalmente in una delle palestre di boxe di maggior successo al mondo in termini di medaglie. Vi chiederete: ma perché aprire una palestra di pugilato in un territorio in cui tutti hanno sempre giocato a calcio?
Perché la boxe a Marcianise, Brillantino l’aveva vista praticata nelle aie, nelle stalle. L’avevano portata gli americani durante la Seconda guerra mondiale: mentre a Caserta, nel palazzo reale, il legato delle SS Wenner firmava la capitolazione tedesca, i soldati americani andavano in giro a cercare sparring partner tra bufalari e contadini, coltivatori di foglie di tabacco e muratori, per poi sfidarli nelle campagne dei Mazzoni. Proprio dall’America arrivò il primo successo dell’Excelsior di Brillantino, con Angelo Musone, un peso massimo straordinario che riuscì ad arrivare alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984. Marcianisano, Musone si allenava proprio in quel garage riadattato a palestra.
Arrivò in semifinale contro Henry Tillman, uno dei pochi pugili ad aver battuto Mike Tyson (quando questi era ancora dilettante).
L’incontro fu dominato da Musone, ma un verdetto che fece molto discutere decretò la vittoria di Tillman. Il match generò un tale scandalo che la candidata democratica alla vicepresidenza Geraldine Ferraro – italoamericana originaria proprio di Marcianise – usò il caso come prova per mostrare che gli Stati Uniti stessero truccando i risultati per fare incetta di medaglie a scopo propagandistico. Polemiche a parte, quel bronzo permise alla Excelsior di uscire dal garage.
L’attività fu trasferita nella palestra di una scuola elementare, dove tuttora ha sede. In qualunque altro territorio una medaglia olimpica avrebbe attirato investimenti enormi, la Excelsior invece è rimasta lì, nella scuola elementare, nonostante continuasse a macinare titoli mondiali e medaglie alle Olimpiadi, come gli argenti di Clemente Russo, pupillo del maestro Brillantino. Medaglie e talento generato da una palestra senza macchinari nuovi, con i bagni che si intasano, i guantoni consumati, i sacchi rappezzati. «Si va avanti con quello che si può, quello che conta è lo spazio in cui agisci dentro di te», era la saggezza del Maestro Brillantino.
Appese ai muri della palestra ci sono stelle di carta ritagliate, con al centro il volto di chiunque abbia vinto un titolo, un torneo. È la costellazione della Excelsior. La boxe non è uno sport violento, ripeteva il Maestro Brillantino.
Violenza è il mondo lì fuori, che non ha regole, che è sempre pronto a farti agguati; la boxe invece è una disciplina contro la violenza, perché è forza controllata, aggressività disciplinata. Devi imparare – diceva Brillantino – ad aggredire i problemi, e devi sempre ringraziare il tuo rivale, perché combattendo con te fa emergere i tuoi limiti. Ognuno si confronta con se stesso grazie all’altro e nella lotta stabilisci i tuoi confini. La boxe è lo sport della trascendenza per antonomasia: non sei solo quel muscolo e quella carne, nel difenderti e nell’attaccare c’è la tua vita e non finisce lì. Il maestro vero ti mostra come combattere sia una prova e le prove siano parti della vita: il successo non dipende dal risultato della prova ma da come prendi parte alla prova.
Brillantino addestrava le menti, partiva da quelle. Non è cosa facile, non è da tutti. Lo chiamavano Mister, ma in realtà era un Maestro. In una palestra prestigiosa, efficiente puoi avere un mister; in una palestra decadente di periferia che si mantiene in affanno hai bisogno soprattutto di un maestro. Negli anni ’90 Marcianise finì sulle cronache nazionali perché fu il primo territorio italiano dove venne imposto un coprifuoco.
Non succedeva dai tempi della Seconda guerra mondiale, non era stato imposto nei momenti più bui della lotta armata, accadde per la guerra di camorra. Ma Brillantino rimase lì. Insieme agli altri allenatori andava a prendere i ragazzini nei bar, nelle piazze, fuori da scuola, e così li strappava alla strada, al deserto in cui i clan reclutano i più giovani per metterli sulle loro scacchiere. La boxe rompeva questo meccanismo e lo faceva in modo definitivo, perché una volta che hai combattuto col sudore della tua fronte e con le tue mani, entrare in un clan diventa una sconfitta. Mi sono allenato alla Excelsior e gliene sono ancora grato. Quando mi fu data la scorta, ci andavo la sera per evitare di infastidire i genitori dei ragazzi preoccupati che la mia presenza potesse rappresentare un pericolo per i loro figli. Una sera mentre prendevo a pugni un sacco il maestro Brillantino mi disse: «Avvicinati al sacco, avvicina l’orecchio, non lo senti? Non senti che piange per il dolore?». Dare l’addio al maestro Mimmo Brillantino è cosa complicata. È un uomo che ha cambiato un territorio attraverso un sogno e ci è riuscito. Non sembri una dichiarazione eccessiva. La palestra diventa un percorso che nessuna dottrina ti potrà mai offrire. Ti forma, diventa metafora di tutto. Dandoti le regole e insegnandoti a boxare, Mimmo Brillantino ti spiegava la vita e ti faceva diventare uomo. Con la morte di Mimmo Brillantino muore un riformista vero. La politica meridionale dovrebbe imparare da lui: non cercava una risposta universale, non pretendeva di cambiare le cose con un colpo di mano, ma si relazionava a quel groviglio di rabbia, aggressività e paura che è l’uomo, e con pazienza lo districava, lo metteva in ordine, lo trasformava, gli dava nuova forma. Addio Maestro. Grazie per ogni tua lezione.