la Repubblica, 31 gennaio 2018
L’amaca
Saputo che la Federazione Gioco Calcio, dopo anni di governicchio e poi di ingovernabilità, sarebbe stata commissariata, mi sono sorpreso a pensare: “come commissario, per quelli lì, ci vorrebbe Gengis Khan”.
Riflettendoci meglio, a mente fredda, non è certo che Gengis Khan, le cui competenze sportive erano probabilmente limitate a cavalleria, falconeria e tiro con l’arco, sarebbe un buon commissario per il calcio italiano. E dunque, fossi tra gli aventi diritto, non so se voterei davvero per Gengis Khan alla guida della Federcalcio.
È interessante, però, valutare il riflesso autoritario che scatta di fronte allo spettacolo di una consorteria di inetti e di litigiosi incapaci, da anni, di esprimere una leadership plausibile.
In politica siamo muniti di qualche inibizione in più, rispetto alla “scorciatoia autoritaria”. Ci siamo attrezzati a credere fermamente in quella faticosa convenzione che chiamiamo democrazia.
Ma per quanto tempo la democrazia può partorire topolini, o cigolare come una macchina arrugginita, senza che un sacco di gente cominci a pensare che “ci vorrebbe Gengis Khan”?
Nell’odierno trionfo politico di tanti ceffi improbabili, quanto pesa il fallimento delle classi dirigenti “normali”, quelle che non spaventano per la prepotenza, però deprimono per l’inconcludenza?