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 2018  gennaio 31 Mercoledì calendario

L’arte di insegnare Leopardi agli afgani

«Dolce e chiara è la notte e senza vento…”. La prof Maria Paola Mioni racconta che forse la scintilla è nata lì, quando uno dei suoi studenti afgani le portò tradotta in lingua pashtu “La sera del dì di festa” di Leopardi. «Quella poesia l’avevo letta in classe, nel mio corso di italiano per stranieri, davanti a ragazzi e giovani uomini tra i più diversi. Alcuni laureati, altri totalmente analfabeti che faticavano a collegare un suono con un segno. Mentre lo studente recitava Lepardi ad alta voce, in pashtu, nel silenzio assoluto, ho capito quanto fosse importante andare al di là della grammatica e insegnare l’italiano anche attraverso i poeti, gli scrittori, Catullo, Orazio, Pascoli». Perché la Poesia forse non può salvare il mondo, ma può renderlo migliore. Ricucire ferite. Dare voce alla nostalgia che strazia il cuore.
Quella stessi che nei loro versi descrivono Hedayatullah, Chagatay, Agha, Kakar Fateh, in fuga dalle persecuzioni dei talebani e approdati nel nostro paese dopo mille sofferenze.
Un gruppo di giovani afgani rifugiati, che durante il corso di lingua della professoressa Mioni, docente volontaria all’Ics di Trieste (Consorzio italiano di solidarietà) hanno scoperto lo straordinario balsamo di scrivere poesie. Un corto circuto positivo di culture, linguaggi, sentimenti, di quando l’integrazione è qualcosa di assai più vasto della sopravvivenza.
E Maria Paola Mioni, 71 anni, veneziana, una vita nella scuola pubblica, docente di Italiano e Storia all’istituto tecnico “Carli” di Trieste, poi alle scuole serali, infine, una volta in pensione, maestra di italiano per gli stranieri, quelle loro poesie ha deciso di raccoglierle e farle conoscere. «Perché sono documenti, testimonianze preziose. A volte anche con un valore letterario». Scrive Chagatay, 23 anni, madrelingua pashtu, oggi pizzaiolo a Parma: “Ho chiesto alla montagna: cos’è l’amore? Ha tremato. Ho chiesto alle farfalle: Cos’è l’amore? Hanno sbattuto le ali. Ho chiesto agli uomini: Cos’è l’amore? Nei loro occhi è apparsa una lacrima”.
«Sono laureata in Filosofia – ricorda Maria Paola – ho vissuto il Sessantotto, ho fatto la scelta politica di non insegnare nei licei.
Volevo far conoscere la letteratura anche a chi non avrebbe fatto l’università, a chi sarebbe andato a lavorare, perché la cultura deve arrivare a tutti, al di là del censo. E ho avuto enormi soddisfazioni, prima della crisi chi usciva dalle scuole serali riusciva a trovare un impiego, oggi è difficilissimo».
Nel 2009 Maria Paola Mioni, marito prof universitario, due figli più un ragazzo down in affido, è andata in pensione. «Ma l’unica cosa che so fare è insegnare, mi sono offerta per i corsi di italiano agli stranieri». E ho scoperto un mondo». I suoi allievi arrivano quasi tutti dal Nord Est dell’Afghanistan, dove la guerra non è mai finita. Anni per approdare in Italia, dal Pakistan all’Iran dalla Turchia in Italia, lasciando in patria madri, mogli, sorelle, fidanzate. Un’odissea già raccontatada un altro giovane profugo afgano, Enaiatollah Akbari, diventata un romanzo successo “Nel mare ci sono i coccodrilli” scritto da Fabio Geda.
La prof Mioni legge in classe Catullo: “Viviamo, mia Lesbia, e amiamo...”. E poi Leopardi, Lorenzo il Magnifico. “Quant’è bella giovinezza...”. Frasi celeberrime e musicali, alle quali a sorpresa gli allievi afgani rispondono portando poesie nei loro idiomi. Hedayatullah Saberjo, che oggi in Italia fa il sarto, ha 32 anni e scrive in Dari: “Non c’era al mondo città regale come Kabul.
Non c’era al mondo un nome bello come Kabul (...) Se non c’era Kabul non nasceva un inno dal cuore”.
L’amore, la nostalgia, il desiderio.
Kakar Fateh Mohammad, 23 anni: “Ricordo le notti d’estate a Koduz (...) C’erano sempre due stelle (...) due stelle vicine come sorelle”.
La voglia di pace, scrive, in Urdu, Agha Meesam Alì: “Se qualcuno ci lasciasse soltanto vivere...”.
«Sentite che bellezza? E che orgoglio? È per questo che continuerò a insegnare – confessa Maria Paola Mioni – fino a che mi reggerà il cuore».