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 2018  gennaio 31 Mercoledì calendario

«Cerco Nefertiti, ma non chiamatemi Indiana Jones». Intervista a Franco Porcelli

TORINO Il sogno di trovare la tomba di Nefertiti agita la notti degli archeologi di tutto il mondo. A riuscirci però potrebbe essere un italiano, Franco Porcelli, che con lo stereotipo di Indiana Jones ha poco a che fare. Niente frusta e giubbotto di pelle, ma camice, computer e una laurea in Fisica, la materia che insegna al Politecnico di Torino. Da questa mattina sarà all’interno della tomba di Tutankhamon, a Luxor, per cercare di scoprire cosa ci sia dietro i bellissimi affreschi della parete nord della camera mortuaria del faraone bambino: «Solo adesso che siamo arrivati a Luxor mi sono reso conto della grandi aspettative che ci sono, anche dei colleghi egiziani, come l’ex ministro Mamdouh Eldamaty con cui collaboriamo».
Il team italo-egiziano, al lavoro ci sono 6 ricercatori degli atenei di Torino, ha l’incarico di verificare l’ipotesi dell’archeologo inglese, Nicholas Reeves, che sostiene che la tomba Kv62, quella di Tutankhamon, non sia altro che l’anticamera del sacrario dedicato alla più bella regina della storia dell’Egitto: «È una teoria audace – dice Porcelli – Dimostrarla sarebbe come vincere alla lotteria, ma in effetti durante i rilievi esterni fatti la scorsa estate abbiamo individuato delle cavità inesplorate».
Pensa sia la tomba della Regina Nefertiti?
«Dirlo ora è difficile. Quello che so è che con misurazioni non invasive, fatte dall’esterno della tomba di Tutankhamon, e basate su mappature tri-dimensionali, abbiamo individuato due spazi cavi, uno piuttosto grande, l’altro meno, che hanno attirato l’attenzione degli egittologi. Con questo lavoro daremo una risposta definitiva».
Inizierete subito a scavare?
«No, sono necessarie altre analisi con i georadar. Stavolta però lo faremo da dentro la tomba e per riuscirci abbiamo dovuto attendere per un anno l’autorizzazione del governo egiziano. Abbiamo in programma sei giorni di rilievi, dentro e fuori la tomba, con tre diverse tecnologie che non danneggiano la struttura e i suoi affreschi. Poi torneremo a Torino e ci vorrà quasi un mese per elaborare i dati. Solo dopo si capirà come muoversi. La tomba di Tutankhamon non può essere intaccata, quindi potrebbero chiederci di individuare altri punti da cui scavare per entrare nelle cavità inesplorate».
Se lì dentro non ci fosse Nefertiti sarebbe un fallimento?
«No, perché questa attività è solo parte della mappatura dell’intera Valle dei Re che stiamo realizzando. Dal nostro punto di vista l’obiettivo è stabilire come mettere a disposizione queste nuove tecnologie di fisica applicata all’archeologia. L’archeofisica è un campo relativamente nuovo, non siamo certo i primi a metterla in pratica, ma gli interventi sono sempre stati sporadici. Ora si tratta di mettere a sistema tutto questo».
Si sente una specie di Indiana Jones?
«Sono un grande fan di quella saga, ma ciò che facciamo noi e l’esatto opposto. Noi lavoriamo in gruppo e cerchiamo di capire se sotto la sabbia ci sia qualcosa d’interessante e per cui vale la pena scavare. Siamo dei proto Indiana Jones, anche se il nome non mi piace».
Siete un’eccellenza italiana, esportata all’estero. Bastano i fondi statali?
«Finora siamo costati pochissimo anche perché collaboriamo con due imprese private, la 3DGeoimaging di Torino e la Geostudi Astier di Livorno. Contenere le spese è un punto di forza, ma certo se avessimo più fondi potremmo completare prima la mappatura complessiva della Valle dei Re. Per questo oltre a fare gli archeofisici dobbiamo anche andare in cerca di finanziamenti e partner».