la Repubblica, 31 gennaio 2018
«Il mio ex assolto dopo aver pagato per farmi uccidere. Ora vivo nel terrore». Intervista a Lucia Panigalli
Lucia Panigalli oggi ha 62 anni ed è andata in pensione dall’azienda tessile in cui lavorava. Pensava di potersi dedicare alle sue nipotine e invece il suo futuro prossimo lo vede così: «Questa storia non finirà mai. Uno dei due dovrà morire e io spero che sia lui».
Lui è Mauro Fabbri, 55 anni, l’uomo con cui per 18 mesi aveva imbastito una storia d’amore finita nel 2010, a Vigarano Mainarda, in provincia di Ferrara, con un’aggressione a calci e pugni e due coltellate, ma che avrebbe potuto finire anche peggio se due anni fa un bulgaro, con il quale Fabbri condivideva la cella nel carcere dove sta finendo di scontare la condanna a 8 anni per tentato omicidio, non avesse deciso di rivelare a un pm il piano che l’ex compagno aveva ordito per affidare ad un killer l’assassinio di Lucia. Un mandato ad uccidere intercettato dalle microspie, già pagato in parte con 25.000 euro, un trattore e una macchina, ma mai eseguito. E dunque, come prevede l’articolo 115 del codice penale, non punibile. Un vulnus legislativo, spiega l’avvocato Eugenio Gallerani, che ha costretto il giudice a condannare Fabbri ad un anno di libertà vigilata quando, tra poco, uscirà dal carcere.
Signora Panigalli, ha paura?
«Alla lettura della sentenza mi sono sentita mancare. Il pm aveva chiesto la condanna a 12 anni e io pensavo di potere stare tranquilla per altri 10 anni. E invece quell’uomo, che non sta bene con la testa, sarà libero tra poco e se ha cercato di uccidermi due volte perché non dovrebbe riprovarci? Potrebbe anche già essere in giro».
In giro? Ma non è in carcere?
«Sì, ma ha già scontato più di metà della pena e dunque ha diritto ai permessi. E, per la privacy, io non posso saperlo.
Cosa dovrei fare? Aspettare che lui e la sua privacy vengano ad uccidermi? Mi sento tradita dalla legge. Come è possibile che uno che prove inoppugnabili inchiodano come mandante di un omicidio venga dichiarato non punibile solo perché il delitto non è stato commesso?
Non è da paese civile».
Come vive le sue giornate?
Ci sono misure di sicurezza a sua tutela?
«Inutili. Per la mia sicurezza lui dovrebbe non respirare più. Alla persona che aveva ingaggiato per uccidermi inscenando una rapina o un allontanamento volontario aveva raccomandato: “Un lavoro fatto bene, non devono sospettare di me. E se muore anche il figlio meglio”.
Voleva farmi fuori prima che cominciasse la causa per il risarcimento civile. E ora ad aprile il giudice si dovrà pronunciare. Io, ogni volta che esco di casa mi guardo attorno, salto in aria ad ogni rumore, ad ogni ombra. Accompagno a scuola o allo sport le mie nipotine tutti i giorni, se potessi cambierei loro sesso. Tutte le donne in Italia sono potenziali vittime. Per questo chiedo che ora qualcuno colmi questo vulnus nella legge che potrebbe costare la vita ad altre donne».
Ha mai pensato di essere in pericolo quando ha chiuso la sua storia con Fabbri?
«Mai. Siamo stati insieme 18 mesi, non funzionava e, di comune accordo, abbiamo deciso di chiuderla. Lui era un tipo chiuso, ma non mi ha mai toccato con un dito. Poi improvvisamente è cominciato un mese di stalking.
Pochi giorni prima dell’agguato è entrato in fabbrica, mi ha dato un bacio in fronte e mi ha detto: “Lo dovevo fare”. E poi me lo sono ritrovato all’una di notte sotto casa con un passamontagna e mi sono salvata solo perché, dopo due fendenti, la lama del coltello si è staccata dal manico».