la Repubblica, 31 gennaio 2018
Il bitcoin dalla setta alla bolla
L’altro giorno il mio barbiere mi ha chiesto se farebbe bene a investire tutti i suoi soldi in Bitcoin. E la verità è che se avesse comprato Bitcoin, diciamo un anno fa, ora sarebbe parecchio contento. Ma è vero anche che pure gli speculatori olandesi che comprarono bulbi di tulipano nel 1635 per un po’ furono parecchio contenti, finché i prezzi del tulipano non crollarono, all’inizio del 1637. Insomma, il Bitcoin è una bolla colossale che finirà in tragedia? Sì. Ma è una bolla avvolta in un tecno- misticismo dentro un bozzolo di ideologia libertaria. E se togliamo questo involucro possiamo imparare qualcosa. Se vivete in una grotta e non avete mai sentito parlare di Bitcoin, sappiate che è l’esempio più conosciuto di criptovaluta: è un asset che non ha un’esistenza fisica e consiste unicamente in un registro digitale archiviato sui computer. L’elemento che differenzia le criptovalute dai normali conti correnti bancari è che non risiedono nei server di un’istituzione finanziaria specifica: l’esistenza di un Bitcoin è documentata da registri distribuiti in più posti. E il vostro diritto di proprietà non viene verificato provando (e rivelando) la vostra identità: la proprietà di un Bitcoin viene verificata con il possesso di una password segreta, che – usando tecniche derivate dalla crittografia, l’arte di scrivere o risolvere codici – vi consente di accedere a quella moneta virtuale senza rivelare alcuna informazione che volete tenere riservata.
È un trucco ingegnoso. Ma a che serve? In teoria, si possono usare i Bitcoin per pagare cose elettronicamente. Ma per questo si possono usare anche carte di vario tipo, e come mezzo di pagamento il Bitcoin è macchinoso, lento e costoso, tanto che a volte perfino le conferenze sul Bitcoin rifiutano di accettare Bitcoin dai partecipanti. In realtà non c’è alcun motivo per usare Bitcoin nelle transazioni, a meno che vogliate evitare che qualcuno veda quello che state comprando o vendendo, che è la ragione per cui la gran parte dell’uso del Bitcoin riguarda, a quanto sembra, droga, sesso e altri beni del mercato nero.
Insomma, i Bitcoin non sono veramente contante digitale. Sono, in un certo senso, l’equivalente digitale dei biglietti da 100 dollari. Come i Bitcoin, i 100 dollari non sono utili per le transazioni ordinarie, perché la maggior parte dei negozi non li accetta. Ma i “Benjamin”, come vengono chiamati in America (perché c’è raffigurato Benjamin Franklin), vanno per la maggiore fra ladri, trafficanti di droga ed evasori. E se la maggior parte di noi può trascorrere anni senza vedere mai una banconota da 100 dollari, in circolazione ce ne sono tante, per un valore di oltre mille miliardi di dollari, il 78 per cento del valore del contante statunitense. Quindi i Bitcoin sono un’alternativa più efficiente ai 100 dollari perché consentono di effettuare transazioni segrete senza andare in giro con valigette piene di contante? In realtà no, perché manca un elemento fondamentale: un ancoraggio solido alla realtà.
Anche se il dollaro moderno è una moneta “a corso forzoso”, cioè una moneta che non ha dietro altro bene, come ad esempio l’oro, il suo valore si regge sul fatto che il governo americano è disposto ad accettarlo, anzi lo pretende, in pagamento delle tasse. Inoltre, il suo potere d’acquisto è stabilizzato dalla Federal Reserve, che ridurrà l’offerta di dollari in circolazione se l’inflazione dovesse crescere troppo e la incrementerà per prevenire una deflazione. E un biglietto da 100 dollari vale 100 di questi dollari generalmente stabili.
Il Bitcoin, per contro, è privo di qualsiasi valore intrinseco. Mettendo insieme questa mancanza di ancoraggio alla realtà e l’uso limitatissimo che ne viene fatto, ci ritroviamo con un asset il cui prezzo è quasi esclusivamente speculativo e, di conseguenza, volatile. Nelle ultime sei settimane i Bitcoin hanno perso circa il 40 per cento del loro valore: se fossero una vera moneta, un deprezzamento del genere equivarrebbe a un tasso di inflazione annuo dell’8.000 per cento. Fra l’altro, il fatto che il Bitcoin sia svincolato dalla realtà lo rende altamente suscettibile a manipolazioni di mercato. Nel 2013 le attività fraudolente di un singolo trader, a quanto pare, fecero crescere di sette volte il corso della criptovaluta. Chi sta spingendo in alto il prezzo ora? Nessuno lo sa. Alcuni osservatori pensano che potrebbe essere coinvolta la Corea del Nord.
Ma che dire del fatto che chi ha comprato Bitcoin all’inizio ha guadagnato somme di denaro colossali? Beh, anche chi aveva investito con Bernie Madoff aveva guadagnato un mucchio di soldi, o almeno così sembrava. Come sottolinea Robert Shiller, il più grande esperto mondiale in materia, le bolle dei prezzi delle attività sono come «truffe piramidali che avvengono spontaneamente». I primi che investono in una bolla fanno soldi a palate man mano che affluiscono nuovi investitori, e quei profitti attirano ancora più persone. Il processo può andare avanti per anni prima che qualcosa – un ritorno alla realtà o l’esaurimento del bacino di potenziali bersagli – interrompa bruscamente, e dolorosamente, la festa. Riguardo alle criptovalute c’è un fattore ulteriore: è una bolla, ma è anche una setta, i cui iniziati coltivano fantasie paranoiche su governi cattivi che rubano i loro soldi. Giornalisti che scrivono con scetticismo sul Bitcoin mi dicono che è l’argomento che genera le invettive più violente.
In conclusione, no, il mio barbiere farebbe bene a non comprare Bitcoin. Andrà a finire male, e prima succederà, meglio sarà.
2018 New York Times News Service (Traduzione di Fabio Galimberti)