Corriere della Sera, 31 gennaio 2018
Quel manifesto sulle leggi razziali che mio nonno Nicola non ha firmato
Gentile Virginia Raggi,
oggi, nell’ottavo anniversario delle odiose leggi razziste, molti giornali parlano della possibilità che lei possa rinominare tutte le strade dedicate agli intellettuali che firmarono il manifesto della razza. Fatalmente leggo tra i primi nomi della lista quello di mio nonno, Nicola Pende, candidato 3 volte al Nobel come padre dell’endocrinologia, ma descritto, ancora una volta, come firmatario dell’ignobile manifesto. Inutile dirle la pena. Per decine di anni mi sono battuta con la mia famiglia contro questa falsità. Invano! Davanti ad ogni memoria del martirio dell’Olocausto, ecco questa vergognosa calunnia travolgere la nostra famiglia come un destino di fango indelebile. L’enciclopedia Treccani e scienziati illustri descrivono Nicola Pende come il grande maestro che è stato. Inutile! Oggi gli si vuole negare anche quella targa che il policlinico, dove ha lavorato per trenta anni, ha voluto dedicargli. Se così fosse questa non sarà più solo un’offesa alla scienza, ma alla verità. Nicola Pende non ha mai firmato il manifesto della razza. Perfino il suo miglior nemico, lo storico Giorgio Israel, lo ammette chiaramente nell’inchiesta sul caso Pende di Giovanni Minoli. Per chi non sapesse, infatti, non è mai esistito un documento con le firme autografe degli intellettuali. Ma solo una lista di nomi fatta pubblicare il 3 luglio 1938 dal duce sul Giornale d’Italia. Inoltre davanti all’inaspettata pubblicazione del suo nome mio nonno ha prontamente scritto un telegramma (custodito dall’Archivio di Stato) dove chiede a Mussolini un cambiamento radicale sul la questione della razza. Per non parlare degli attacchi che Pende riceve sulla stampa fascista. Del resto i fatti sono ben noti soprattutto a coloro che usano da sempre Nicola Pende come il jolly d’autore del fascismo per nutrire i loro saggi e i documentari che, senza un attore così forte, sarebbero senz’altro meno salati. A nulla sono valse nel 1948 l’assoluzione di Pende della Corte di Cassazione, a niente l’elenco firmato da decine delle famiglie ebree che mio nonno ha nascosto al policlinico. «Avrebbe dovuto andare al confino» si dice. Sì, Nicola Pende non l’ha fatto. Ha continuato invece il suo lavoro sotto il fascismo. Non è stato né un eroe né un santo. Ma, come ha già detto Francesco Rutelli, vogliamo fare un elenco di tutti i giornalisti, gli scrittori e gli scienziati palesemente vicini ai fascisti celebrati con strade e giardini? Impresa ardua. Il perché non lo sapremo mai. Di certo è che la bambina che ero non può dimenticare quella folla davanti allo studio del nonno: umili contadine e signore inanellate. Tutte con una parentela: un figlio malatissimo che poteva essere guarito solo da Pende. Dunque quando purtroppo leggerò ancora di Nicola Pende firmatario del manifesto, l’unica consolazione sarà la certezza che mio nonno ha lavorato una vita per restituire dignità e salute a quegli infelici che i nazisti hanno assassinato barbaramente. E vorrei che lei sapesse, gentile sindaco, che il suo impegno maggiore Pende lo ha certamente dato in quel policlinico dove oggi si vuole cancellare il suo nome.
Grazie per avermi letta.