Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 31 Mercoledì calendario

Quando il giornalismo italiano abitava in Campo Marzio

Nel suo studio di direttore c’era dietro la scrivania un grande ritratto di Cavour. Una volta gli chiesi il perché e mi disse che Cavour era stato… a un tempo idealista e pragmatico. Mi disse che Cavour non andava visto come un politico machiavellico senza scrupoli, ma come un uomo appassionato. Per un gobettiano come me che nella sua vita non si era occupato di storia, fu una rivelazione». Il direttore, a cui si riferisce lo scrittore Mario Soldati, è Mario Pannunzio quando era al timone de Il Mondo: Mario&Mario, il celebre giornalista e l’inventore del turismo enogastronomico e della televisione di qualità, furono assai diversi e anche molto simili, uniti in gioventù dal rapporto con un terzo Mario, il regista Camerini con cui lavorarono entrambi.
Il 10 febbraio ricorrono i 50 anni dalla morte di Pannunzio, eccezionale maestro di giornalismo, capace di fare scuola nella storia della carta stampata del dopoguerra. Allo scrittore di Lucca è dedicato l’intervento di Soldati fino a oggi inedito (lo citiamo per gentile concessione del Centro Pannunzio di cui il narratore torinese fu direttore). Con le testate a cui diede vita, da Risorgimento Liberale a Il Mondo, e con le sue idee e le sue polemiche segnò profondamente il dibattito culturale e politico italiano e lasciò una traccia destinata ad arrivare fino ai nostri giorni: nel 1955 diede vita, insieme ad amici e compagni liberali e azionisti, al Partito radicale. Della «scomoda attività della dissidenza», come disse Giovanni Ferrara, «fece la vocazione della sua vita» ponendosi come un grande irregolare e un intellettuale che non rinunciò mai al suo ruolo di avanguardia.
Pittore in erba, innamorato di cinema e critica letteraria, Pannunzio si collocò, subito, pure fuori dal coro del fascismo: «Io ero fascista», rammentò Indro Montanelli rendendo omaggio all’amico. «Mi trovavo bene nell’atmosfera di perpetua mobilitazione del regime... Pannunzio non partecipava a nessuno di quegli entusiasmi. Non c’è dubbio che ci facilitò l’operazione di liberarci della camicia nera grazie a quell’indefinibile dono che si chiama ‘autorità’».
Il neogiornalista aveva superato da poco i vent’anni ed era già uno dei più autorevoli direttori della Penisola: all’inizio degli anni Trenta fondò la rivista Oggi, successivamente collaborò con Leo Longanesi al primo rotocalco italiano, Omnibus, e diresse altri due settimanali con Arrigo Benedetti. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ‘43 diede vita a un gruppo liberale clandestino e nel dicembre fu incarcerato a Regina Coeli.
L’exploit più clamoroso arriverà con Risorgimento Liberale che sarà definito dagli storici il più bel quotidiano politico dei suoi anni. La pubblicazione, organo del ricostituito Partito liberale, appena nato, documentava la lotta partigiana al Nord, si rivolgeva ai giovani e superò le 100 mila copie nel dopoguerra. Nonostante avesse nella sua pancia firme per nulla eversive o ribelli, come quella di Benedetto Croce, prese posizioni controcorrente, criticando, per esempio, l’amnistia nei confronti degli ex fascisti e pubblicando a puntate le memorie di Viktor Andrijovyc Kravcenko, in cui il diplomatico sovietico fuggito in occidente descriveva nel dettaglio la collettivizzazione forzata in Ucraina, i campi di prigionia e i gulag.
Molti dei collaboratori di «Risorgimento liberale» passarono nel 1949 al Mondo, il capolavoro giornalistico di Pannunzio. Tra «snobismo e opposizione», come ha scritto Eugenio Scalfari che della cifra di quel giornale fece il suo vademecum per la creazione de la Repubblica, il consesso di autori reclutati dal direttore s’ impegnò in clamorose battaglie per i diritti civili, contro la partitocrazia e i «palazzinari» speculatori.
Nel piccolo ufficio romano del Mondo, in Campo Marzio, si potevano incontrare Ennio Flaiano, Mario Soldati, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Alberto Moravia e Truman Capote. Arrivavano i dattiloscritti di Thomas Mann, Stephen Spender, Evelyn Waugh e Luigi Einaudi. «Progressisti in politica, conservatori in economia, reazionari nel costume»: così il giornalista descrisse la sua composita squadra e Alberto Arbasino rilevò un’aria di «vecchia eleganza intellettuale mediterranea». Un «giornale polifonico», lo definì Alberto Ronchey. Insieme ai politologi, agli economisti e agli scrittori de Il Mondo – Marco Pannella, Leo Valiani, Rossi, Scalfari e molti altri -, Pannunzio diede vita al Partito Radicale dei Liberali e Democratici Italiani (P.r.l.d.i). Con il nome abbreviato nel più agile Pr, il neo partito guiderà le campagne per il divorzio, per l’aborto, per il femminismo e per i diritti degli omosessuali. Insomma Pannunzio fu un originale solitario che viaggiò sempre con scelta compagnia.