La Stampa, 31 gennaio 2018
Grazie al Dna scopre che Babbo Natale è il suo vero padre
Ha capito che quell’uomo era il suo vero padre dal profumo, dalle pieghe del viso, dalle mani grandi e calde, dalle frasi non dette. A quel tempo Marinella Magliano, oggi cinquantenne, di anni ne aveva solo undici. Viveva con la madre, il papà, due sorelle e un fratello.
Era il 30 marzo del 1979 quando suonarono alla porta della loro casa in Valbormida, nell’entroterra di Savona, dove la famiglia viveva nella povertà più assoluta. Marinella aprì e le comparve davanti un omone grande e grosso, con un cesto pieno di ogni leccornia che qualsiasi bambino avrebbe desiderato. E diecimila lire, «per comprare la torta di compleanno a Marinella», disse.
«È Babbo Natale!», esclamò la bambina con gli occhi sgranati e increduli. Poi rimase in silenzio a fissare l’omone, di nome Alfredo, che scambiò due parole con la madre per poi riuscire da quella porta.
«In quel momento, anche se ero una bambina, sentii dentro di me che quella persona era parte di me. Anni dopo interrogai mia madre a bruciapelo: “Alfredo è mio padre?”, le chiesi. Lei negò. Quando chiuse gli occhi, decisi che sarei andata sino in fondo a questa storia, per scoprire chi ero e soprattutto chi era il mio vero padre: l’uomo con cui avevo vissuto in casa sotto lo stesso tetto per anni o l’omone grande e buono?».
Trentatré anni dopo, ormai quarantaquattrenne, Marinella, grazie ai soldi dello stipendio guadagnato a fatica, facendo la cassiera, non si arrende e vuole scoprire la verità sul suo passato. Per capire se quell’istinto primordiale che ogni persona, sin da piccola, conserva dentro di sé l’avesse tradita o meno.
«Lo so che non si deve fare – racconta – ma rubai un mozzicone di sigaretta all’uomo che aveva vissuto con noi e che mia madre mi aveva insegnato a chiamare padre. Lo sottoposi, in un laboratorio di Genova, alla prova del Dna. Confrontando il mio corredo genetico con il suo, ebbi la conferma: era un estraneo».
Il passo successivo fu ben più difficile. «L’omone, Alfredo, non era mai del tutto scomparso dalla vita di mia mamma – racconta -. Non si incontravano, almeno io non li avevo mai rivisti insieme, ma tre le cose di mia madre, dopo la morte, trovai un epistolario di lettere dolcissime che si erano scambiati negli anni. Lui si era sposato, ma era presto rimasto vedovo. Mi armai di coraggio: sapevo dove abitava, nel paesino di Cengio (Savona). Bussai alla sua porta: mi fece accomodare e, tremante, gli chiesi se era mio padre».
Ci fu un attimo di commozione. L’omone si asciugò le lacrime e rispose che era probabile. «Non mi bastava: chiesi anche a lui di sottoporsi alla prova del Dna. Quando il laboratorio ci diede la risposta affermativa scoppiai a piangere. Avevo 44 anni e, per la prima volta, potevo invocare quella parola che, per una bambina, è tanto importante: papà».
Per cinque anni Marinella ha rubato alla vita quello che, a sua volta, la vita, le aveva portato via. «Mi sono ripresa il mio vero cognome, Magliano – racconta -. Abbiamo vissuto cinque anni meravigliosi, festeggiato Natale, Pasqua, compleanni. Tutto insieme, io e il mio papà».
Pochi mesi fa, però, Alfredo si è addormentato. Per sempre.
Ma Marinella ha deciso che, da quella storia di amore, nata il 30 marzo del 1979, doveva nascere altro amore. «Ho contattato la mensa della Caritas diocesana – dice – e ho detto loro che, da quest’anno e sino a che io sarò viva, il 30 marzo di ogni anno, i loro ospiti riceveranno un enorme cestino pieno di cibi prelibati e di ogni ben di Dio. Proprio come quel 30 marzo accadde a me, quando aprii la porta e il mio papà Natale arrivò con quei pacchi».