La Stampa, 31 gennaio 2018
Putin: La lista nera Usa atto ostile contro la Russia. La rabbia del presidente per l’elenco dei fedelissimi dello zar
L’ultimo affondo nel duello politico tra Mosca e Washington è partito dagli Stati Uniti. E nonostante le resistenze dell’amministrazione Trump. Si tratta della «Putin List»: un lungo elenco con i nomi di 210 tra politici e oligarchi russi ritenuti «vicini al Cremlino»: si va dal capo dei servizi segreti (Fsb) Aleksandr Bortnikov al capo della Gazprom Aleksey Miller, dall’imprenditore Roman Abramovich al portavoce di Putin, Dmitry Peskov. Una sorta di «lista della vergogna» che è allo stesso tempo un avvertimento per possibili sanzioni future, ma sul cui peso Vladimir Putin ha cercato di minimizzare con ironia.
«I cani abbaiano ma la carovana prosegue il suo cammino», ha detto il presidente russo davanti a un pubblico di suoi sostenitori in piena campagna elettorale.
Ma tra gli applausi e le risate dei suoi fan, il leader del Cremlino è riuscito persino a girare a proprio favore l’attacco subito definendolo un affronto a tutti i russi nonché una minaccia «insensata» che rischia di «azzerare» le relazioni russo-americane. «Ci sono i russi comuni dietro i nomi di questa lista – ha affermato – e questo significa che l’intero Paese è stato denunciato, tutti i 146 milioni di russi. É un atto ostile contro la Russia».
La «Putin List» è stata pubblicata dal Tesoro americano dopo che il Congresso ha approvato ad agosto il Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (Caatsa): una legge con cui gli Usa hanno rafforzato le sanzioni contro la Russia per la crisi ucraina e le presunte interferenze nelle presidenziali del 2016, ma hanno anche colpito Corea del Nord e Iran.
La lista nera era un atto dovuto per l’amministrazione Trump. Ma non voluto. Non per niente è stata pubblicata appena dieci minuti prima della scadenza.
E il presidente americano – contrario a nuove sanzioni contro Mosca – la scorsa estate aveva sì firmato il Caatsa, ma lo aveva definito «incostituzionale». Anche perché, com’è noto, Trump nega che ci sia stato lo zampino del Cremlino dietro la sua vittoria elettorale.
Essere inclusi nella black list americana non significa essere sottoposti a sanzioni. «Voglio essere cauto nell’assumermi questo impegno», ha chiarito il ministro del tesoro Steve Mnuchin. La «Putin List» è quindi una sorta di elenco delle persone ritenute vicine al Cremlino e per questo potenzialmente «punibili» da Washington. Ci sono dentro tutti i ministri, compreso il premier ed ex presidente Dmitry Medvedev e il capo della diplomazia russa, Sergey Lavrov. Gli oligarchi sono 96: tutti quelli che hanno una ricchezza pari o superiore al miliardo di dollari. Inclusi personaggi che recentemente hanno preso le distanze da Putin, come ad esempio Mikhail Prokhorov, il patron dei Brooklyn Nets. Ma alla parte pubblica del rapporto se ne aggiunge anche una segreta, dove pare ci siano informazioni sulle presunte attività illecite di alcuni «uomini del presidente».
Vladimir Putin ha assicurato che, per il momento, la Russia non reagirà con misure di ritorsione che potrebbero mettere a repentaglio le già difficili relazioni tra Mosca e Washington. Per ora il leader del Cremlino ci scherza su e si dice amareggiato dal fatto di non essere stato inserito anche lui nella lista nera che porta già ufficiosamente il suo nome. «Che peccato, mi dispiace», risponde a chi gli fa notare che lui, Putin, non è nella «Putin List».
Ma a Mosca c’è anche preoccupazione, e Dmitry Peskov non lo nasconde di certo quando afferma che l’elenco stilato dal Tesoro americano «rischia di danneggiare la buona reputazione» di politici, imprenditori e aziende. E lo stesso Putin considera la lista un’arma degli Usa per «contenere lo sviluppo» della Russia. «Ma noi dobbiamo continuare a pensare a noi stessi e alla nostra economia», ha detto il presidente russo ai suoi sostenitori.