il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2018
Ex manager, prof e lobbisti: la rete dell’Eugt
“Un’associazione lobbistica dalla facciata scientifica”. Ecco cos’era l’Eugt secondo il quotidiano Süddeutsche Zeitung, il giornale che, assieme alla Stuttgarter Zeitung, ha rivelato i test sulle persone. L’ente, sciolto nel 2017, era stato costituito dai gruppi Bmw, Daimler e Volkswagen assieme a Bosch, colosso planetario della fornitura (73 miliardi di volumi nel 2016) che nel 2013 aveva abbandonato il sodalizio. Nel 2016 i tre gruppi automobilistici tedeschi vantavano quasi 470 miliardi di giro d’affari. E per il 2017 hanno tutti già anticipato nuovi record di vendita: Volkswagen Group oltre 10,7 milioni di veicoli, Bmw più di 2,463 milioni (settimo primato consecutivo) e Daimler di nuovo oltre i 3 milioni (quinto record di fila). I contestati test sugli animali sono stati eseguiti nel Nuovo Messico dal Lovelace Respiratory Research Institute (Lrri) per conto dell’organizzazione tedesca. Stando agli incartamenti in mano alle autorità americane citate dalla Süddeutsche Zeitung, fino allo scorso anno Volkswagen avrebbe tenuto in sospeso un pagamento di 75.000 dollari alla Lrri, proprio per i test in questione.
I primati, “calmati” con una serie di video, sarebbero prima stati esposti ai gas di scarico di un pick-up del 1999 e poi a quelli di una Beetle del 2012. Il test avrebbe dovuto dimostrare la sostenibilità della più moderna tecnologia dei motori diesel. A condurre al laboratorio la Beetle, il nuovo Maggiolino, sarebbe stato James Liang, l’ingegnere di origini indonesiane noto per essere il primo condannato del dieselgate: 40 mesi di prigione, malgrado la sua preziosa collaborazione con le autorità Usa. Nella relazione sulle attività dell’Eugt tra 2012 e 2015 – in possesso del Fatto – i test sugli animali sono citati. Tutti sapevano tutto.
Soprattutto perché a pagina 6 del documento ci sono i nomi e le foto dei membri del Cda, con i loro “riferimenti”. Bmw era rappresentata da Frank Hansen, ex manager che per la casa bavarese si occupava del Centro di competenza per la mobilità urbana, Daimler da Udo Hartmann, responsabile della protezione ambientale del gruppo, e Volkswagen da Hans-Georg Kusznir. Fra i manager c’era anche Max Conrady, designato dalla società di gestione del più grande aeroporto della Germania, la Fraport, che si è assicurata il controllo di 14 scali della Grecia con 1,23 miliardi di euro. Il responsabile operativo era Michael F. Spallek, già medico del lavoro della divisione Veicoli Commerciali di Volkswagen per oltre dieci anni. Del comitato scientifico facevano parte professori e studiosi guidati dal professor Helmut Greim della Tu München, cioè il politecnico della Baviera.
La convinzione del governo tedesco, espressa anche dal ministro dell’agricoltura Christian Schmidt, è che l’istituto si occupasse di test finalizzati “unicamente alle pubbliche relazioni”. A quanto pare se n’è accorto solo in questi giorni mentre già da tempo Axel Friedrich, tra i fondatori dell’International Council on Clean Transportation, l’istituto che ha svelato il dieselgate, sostiene che il mandato dell’organismo era quello di “minimizzare i problemi delle emissioni diesel”. Ufficialmente doveva infatti esaminare le ripercussioni del traffico sulle persone e sull’ambiente. “Sappiamo da tempo – ricordava invece Friedrich – che il particolato è altamente pericoloso per il sistema cardiaco. Sappiamo anche che gli ossidi di azoto incidono in modo significativo su asma e allergie. Eppure si continua a sostenere che non sarebbe documentato”. A ottobre del 2015 il Times aveva rivelato che l’Eugt ha prodotto studi finanziati dai costruttori per negare che i fumi delle auto diesel causino problemi di salute. Da ieri la politica tedesca finge di non averne mai saputo nulla.