il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2018
Red Bullo e altre sostanze
Più leggi le liste e più ti domandi: ma perché le case automobilistiche tedesche non possono usare uomini e scimmie per testare gli effetti dei loro gas di scarico e i partiti italiani sì? Chi siamo noi elettori se non 40 milioni e rotti di cavie umane costrette ad annusare le puzze degli impresentabili, ben più tossiche dello smog? Non so voi, ma io mi farei volentieri un aerosol dal tubo di scappamento di un Suv, in cambio del ritiro di certi soggettini appena candidati, cioè nominati, dai capi-partito. Ecco una prima top five provvisoria, per farsi un’idea.
1. Red Bullo. Il mio preferito resta lui, Matteo Renzi, specie dopo l’intervista-cunnilingus al rag. Cerasa sul Foglio, con perle del tipo: “Se Gentiloni le ha detto che lui è come la camomilla, allora le dico che io assomiglio di più alla Red Bull”. Ora, l’idea che un leader politico ed ex premier si paragoni a un beverone di caffeina e taurina che migliora le prestazioni degli atleti, è già abbastanza comica. Che poi a farlo sia il bulletto in sovrappeso che in quattro anni è riuscito a peggiorare le già deprimenti prestazioni del Pd, è irresistibile. Non c’è partita, vince lui.
2. Heidi. “Lo so, non parlo il tedesco, ma ora lo imparo. Con l’Alto Adige ho già un rapporto di amore e di passione, ci vengo sempre in vacanza. Non l’ho scelto io come paracadute politico: ero a disposizione, ha deciso il partito. Avrei accettato anche Arezzo, qualsiasi posto”. E i tre posti in lista in Sicilia? “Lì invece ci sono grazie al G7”. Chi mente è Maria Elena Boschi, finalmente dissequestrata dallo svincolo Bolzano-Brennero, dove girava in tondo da quattro giorni su un’auto coi vetri oscurati per evitare il linciaggio. Infatti, tutto intorno a lei, si dimettono dirigenti del Pd bolzanino e dell’Svp. Lei però è già padrona della lingua: “kartofen, ya, nein, achtung, banditen, verboten, telefunken…”.
3. La Nunziatella. Passata dal Pdl all’Ncd a FI, Nunzia De Girolamo coniugata Boccia pensava d’essersi guadagnata la giusta mercede: capolista nel proporzionale a Benevento-Avellino e varie seconde piazze nel resto della Campania. Poi, mentre le liste erano in viaggio per la consegna ufficiale, ha scoperto che il suo nome era sparito dalla pole position: seconda a Benevento, non pervenuta negli altri collegi. Allora salta sul primo aereo per Milano e di lì ad Arcore al grido di “se ripigliamm chell ch’è o nuostr”. Al cancello di Villa San Martino chiede di Lui, che però è stremato da due settimane di postulanti in processione, e qualcuno insinua financo che la lasci lì all’addiaccio, facendo dire che non è in casa.
Lei comunque ci parla almeno al telefono e strappa un paracadute a Bologna, città da lei molto amata, almeno quanto Bolzano dalla Boschi. Poi va in tv e chiede la testa del coordinatore De Siano. Sospetta di tutti, pure dell’incolpevole Carfagna. De Siano la piglia in giro: “Nessun caso De Girolamo, nessun’esclusione, solo scelte unanimi del tavolo nazionale, fatte alla luce del giorno: un po’ di sana competizione che garantisce il miglior risultato”. Lei evoca “metodi alla Gomorra”. Ma benedetta Nunzia, che t’aspettavi dal partito di Nick Cosentino e Giggino ’a Purpetta?
4. Il Signor Forse. Nicola Cecchi fa l’avvocato a Firenze, è presidente vicario dei Toscani nel Mondo ed ex presidente della Camera di Commercio Italo-Cubana. Nel 2016 prende la tessera del Pd, che soprattutto a Firenze vuol dire Renzi. Infatti si batte come un leone per il Sì alla sua riforma incostituzionale. Ora sta col M5S e sfida Renzi nel collegio di Firenze 1. Un renziano contro Renzi? No, perché il suo renzismo è roba vecchia, di “un anno-un anno e mezzo fa”, un’eternità. “Se li conosci, poi li eviti”, i renziani. “Ho valutato, riflettuto e pensato che le mie idee coincidono con gran parte delle cose che dicono i 5Stelle”. Che peraltro le dicevano già un anno-un anno e mezzo fa. Però allora Renzi non aveva ancora perso il referendum e i 5Stelle non l’avevano ancora vinto. Sarà mica questo che ha valutato-riflettuto-pensato?
5. Toga Party. Non è vero che i giudici non devono fare politica: dipende da dove. Se stanno col Pd e con FI, possono, anzi devono. Cosimo Ferri, ex leader della corrente togata di destra (MI), citato nelle intercettazioni imbarazzanti degli scandali P3, Calciopoli e Agcom-Annozero, sottosegretario del governo Letta in quota FI e confermatissimo da Renzi e Gentiloni senza FI, si candida col Pd. E tutti zitti, mica è grillino come Di Matteo (che infatti non si candida). E B.? Si pensava che odiasse tutti i giudici, a parte la buonanima di Santi Licheri, quello di Forum. Invece no, tutt’altro: ad Agrigento mette in lista la toga bionda Giusi Bartolozzi, giudice al Tribunale di Roma. Gliela presentò Gianfranco Miccichè l’estate scorsa, col suo compagno, l’avvocato-candidato Gaetano Armao: fu “un colpo di fulmine, uno straordinario contatto con un vero gentiluomo (eccezionalmente non le mise le mani addosso, ndr): parlammo molto di giustizia, trovandoci d’accordo”. E chissà mai su cosa: sul decreto Biondi, sull’ex Cirielli, sulla Cirami, sulla depenalizzazione del falso in bilancio, sul lodo Alfano, sul lodo Schifani, sulla condanna per frode fiscale, sull’eroismo di Mangano, o sul martirio di Dell’Utri e Previti, sul proverbiale fiuto di Miccichè, sui “giudici matti e antropologicamente diversi dalla razza umana”, o su tutti gli imputati in lista? Ovviamente “la simpatia si è poi moltiplicata e quando, grazie a Gianfranco (sempre Miccichè, ndr), è arrivata la proposta, ho deciso di provare”. Anche per un fatto di gratitudine: con tutto il lavoro che le danno B.&C., la magistratura sarà sempre al riparo dalla disoccupazione. Ogni azienda si tiene ben stretti i fornitori.