Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2018
La partita globale sul controllo dei numeri. Continuano le operazioni per conquistare società di gestione dati, da Moody’s a Sinclair
Se i dati sono il petrolio di domani, lo sono ancora di più quelli finanziari. Perché che il mercato salga o scenda, che l’economia sia in crescita o in recessione, che le aziende macinino utili e distribuiscano dividendi o affrontino ristrutturazioni, sarà comunque e sempre necessario misurare ciò che succede. Devono aver fatto questa valutazione i vertici di Blackstone per decidere di mettere sul piatto un investimento di miliardi per rilevare il 55% dei Thomson Reuters Financial & Risk. Con una valutazione di 20 miliardi di dollari di enterprise value, il fondo paga il deal a un multiplo di 12 volte il margine operativo lordo (Ebitda) 2016, contro una media di 10 volte delle operazioni nel settore negli ultimi tre anni. Non solo. All’investimento per entrare nell’azionariato della divisione dati, il fondo di private equity ha aggiunto un contratto trentennale con la divisione news: 325 milioni di dollari all’anno per i prossimi 30 anni per poter fornire il notiziario Reuters sui terminali che continuerà a vendere nelle sale operative. Un salvavita non da poco per i 2.500 giornalisti del gruppo editoriale. D’altra parte in finanza i numeri non possono bastare. Analisi e notizie, soprattutto in tempo reale, diventano fondamentali.
La scelta di Blackstone si inserisce in uno scenario in cui diversi attori stanno cercando di guadagnare o mantenere una posizione nell’editoria finanziaria specializzata. Di sicuro non intende fare un passo indietro Michael Bloomberg, che con la società omonima detiene il primato del settore. Di un mese fa, poi, la notizia dell’offerta di Disney da 52,4 miliardi di dollari per la 21st Century Fox. Rupert Murdoch esce dall’entertainment, ma tiene NewsCorp, la società a cui fa capo Dow Jones (concorrente di Thomson Reuters) e il Wall Street Journal, nonostante i ricavi stentino (8,14 miliardi di dollari -2% nell’esercizio fiscale 2017) e la società sia in perdita (643 milioni). Da questa parte dell’Oceano, invece, nel luglio 2015 i giapponesi di Nikkei pagarono cara (844 milioni di sterline) la conquista del Financial Times, che aveva chiuso l’esercizio 2013 con un utile da 29 milioni di sterline a fronte di un fatturato di 341 milioni. Un investimento che sta dando i propri frutti, almeno sul fronte dei lettori: l’Ft ha raggiunto nel corso del 2016 risultati record nella diffusione con 850.000 copie fra digitale e carta, in crescita dell’8% rispetto all’anno precedente. Le sottoscrizioni della divisione digitale hanno registrato nel periodo un +14% a quota 650.000.
Resta il fatto che il settore media è in una fase di consolidamento e nuovi equilibri si verranno a creare. Se nel 2013 si contavano operazioni per un controvalore di 52,6 miliardi, nel 2016 si sono superati i 200 miliardi per ripiegare a 157 miliardi nel 2017. E, anche se non fanno rumore, i passaggi di mano di società media che gestiscono dati sono diversi. Sinclair Broadcast Group nell’agosto scorso ha rilevato per quasi 7 miliardi Tribune Media Company, che per altro ha anche servizi nel digitale e nella fornitura di dati finanziari delle aziende. Moody’s Analytics ha pagato nel maggio 2017 3,3 miliardi per Bureau van Dijk Electronic Publishing, che offre una combinazione fra software e dati economico-finanziari. Un panorama in ricomposizione, che secondo gli analisti del settore riserverà altre novità nel corso del 2018.