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 2018  gennaio 29 Lunedì calendario

Non hai soldi? Non puoi curarti

Due milioni e 700 mila italiani richiedono una visita a pagamento, prima di affrontare terapie o operazioni chirurgiche. Così dice l’Istat. Rivolgersi al privato è l’unico modo per accorciare i sempre più lunghi tempi di attesa della sanità pubblica. La spesa sanitaria degli italiani è aumentata del 4,2% dal 2013 al 2016, ha calcolato il Censis. Non hai i soldi? Non ti curi. Ben 12,2 milioni di connazionali hanno rinunciato o rinviato per ragioni economiche almeno una prestazione sanitaria nell’anno appena terminato: un milione e duecentomila in più del 2016. 
La situazione più critica dei tempi di attesa è nel SudIsole: il 72,9% di chi vi abita ha avuto urgente bisogno di una prestazione sanitaria e a causa di liste troppo lunghe nel pubblico ha dovuto ricorrere al privato. Nel Centro la percentuale è del 68.9%, nel Nord Est del 53,3% e nel Nord Ovest è del 50,8%. 
Qualche esempio: nel Sud e nelle Isole la visita specialistica più lunga da ottenere è quella ortopedica: 77 giorni. Ben 104 giorni servono nel Nordest per ottenere una visita oculistica. Per non parlare delle visite diagnostiche: 111 giorni per una risonanza magnetica nel Mezzogiorno. 
IL RITARDO 
Troppo, a quanto prevede il Piano Nazionale di governo delle liste di attesa 2010-2012. Ma come? Siamo nel 2018, direte voi. Vero, ma di un nuovo piano 2016-2018 ancora traccia non c’è. L’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali sul suo sito assicura che sta collaborando alla sua stesura, dal ministero in cinque giorni, a domanda diretta non hanno fatto pervenire alcuna risposta a Libero. In ogni caso, secondo questo Piano 2010-2012 ci sono 58 prestazioni per cui ASL e ospedali devono far rispettare i tempi massimi. Esempio: per una visita cardiologica, otorinolaringoiatrica, o endocrinologia non bisognerebbe aspettare più di 30 giorni. Per un ecografia all’addome o una tac al bacino, non più di 60, come anche per una colonscopia o elettrocardiogramma. 
Non solo i giorni di attesa sono spesso ben di più del previsto, ma sono pure aumentati nel tempo. Calcola il Censis che nel periodo 2014-2017 per la gran parte delle prestazioni sanitarie si registra un allungamento delle liste di attesa: le visite cardiologiche sono passate da 59 giorni a 67 giorni, più 8 giorni; le visite ginecologiche da 38 giorni a 47 giorni, ancora più 8 giorni. La risonanza magnetica da 74 giorni a 80 giorni, quasi una settimana in più di quattro anni fa. Le Regioni che fanno di fronte a questi aumenti? A parole sembrano esser tutti pronti a cambiare, ma le denunce aumentano esponenzialmente da anni. 
LA SOLUZIONE 
Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva spiega: «Nessuno lo dice, ma se i tempi massimi di attesa vengono superati si può chiedere che venga individuata una struttura pubblica o convenzionata in grado di erogare la prestazione di diagnostica o specialistica entro i tempi. O anche autorizzare le prestazioni “in intramoenia” senza che il cittadino spenda un euro in più del ticket. Sul nostro sito abbiamo preparato un modulo: è sufficiente stamparlo e portarlo al Cup per richiedere questo diritto». Gaudioso sottolinea come «molte Regioni bloccano le liste, in modo illegale, per far decrescere le medie dei tempi di attesa: le persone non sono a conoscenza dei propri diritti e finiscono per pagare prestazioni private per colpa del super ticket a volte addirittura più convenienti. Una situazione inaccettabile». 
La salute è cosa da ricchi? Un rapporto di RBM Assicurazioni salute e del Censis, attesta che 7,8 milioni di italiani per coprire le spese sanitarie private hanno dovuto utilizzare i propri risparmi e/o indebitarsi con parenti, amici, o banche. Sono soprattutto nel Sud e nelle isole, si tratta più spesso di famiglie a basso reddito e con persone affette da patologie croniche o in stato di salute insufficiente o pessimo. Le più bisognose. 
Per cosa ci si indebita soprattutto? Le prestazioni che hanno generato maggiori difficoltà economiche sono le visite specialistiche (74,7%), i farmaci (53,2%), gli accertamenti diagnostici, l’odontoiatria (40,2%), le analisi del sangue, lenti e occhiali da vista le prestazioni di riabilitazione, protesi e tutori.