il Giornale, 30 gennaio 2018
Ecco come cambierà la terra con la guerra nucleare
Einstein diceva di non sapere come l’uomo avrebbe combattuto la terza guerra mondiale, ma di intuire come sarebbe avvenuta la quarta: con clave e bastoni. Alludeva all’uso indiscriminato dell’energia nucleare che all’indomani delle due guerre mondiali avrebbe determinato la scomparsa del genere umano, e forse dell’intera vita sul pianeta, costringendo l’evoluzione a iniziare daccapo.
Oggi gli attriti fra Stati Uniti e Corea del Nord ripropongono il tema e alcuni scienziati, capeggiati dal climatologo Alan Robock, della Rutgers University, in Usa, hanno davvero immaginato quel che potrebbe accadere se scoppiasse un conflitto nucleare nei prossimi anni, supponendo l’utilizzo di cento bombe nucleari, a fronte delle migliaia protette negli arsenali di mezzo mondo. Ecco lo scenario.
La Terra è sconvolta da un’azione antropica devastante e dopo una settimana cinque megatoni di «black carbon» (carbone elementare, o polvere nera) deturpano l’atmosfera. È un composto altamente nocivo, inquinante e soprattutto in grado di alterare velocemente la qualità del clima. La fuliggine, infatti, impedisce al calore del sole di raggiungere la superficie del pianeta, provocando un repentino abbassamento delle temperature, con oscuramento del cielo. Trascorse due settimane il Pianeta azzurro è completamente trasformato e il buio avvolge ogni suo angolo. Alcune faglie tornate attive causano terremoti e smottamenti. Lo strato di ozono che riveste l’atmosfera è seriamente compromesso. E il suo compito di difenderci dai raggi ultravioletti che provengono dal sole e hanno il potere di danneggiare il Dna, viene meno. Si assiste a un incremento dell’80-120% delle radiazioni ultraviolette, al quale scampano solo poche piante dotate della capacità di produrre enzimi che assorbono e annullano gli effetti radiativi.
La mancanza di luce e di calore provoca dopo due mesi un abbassamento delle temperature di circa 25 gradi: il pianeta si raffredda a ogni latitudine e in una città come Milano si avrebbero mediamente -30 gradi in inverno e un paio di gradi sopra lo zero in estate. L’inverno nucleare diviene realtà con gli unici animali capaci di contrastare efficacemente il cataclisma: scarafaggi, blatte, moscerini, topi e scorpioni. Gli insetti, in particolare, fanno tesoro di milioni di anni di selezione naturale, ormai abituati a superare le condizioni climatiche più estreme. Il crollo delle temperature va di pari passo con una diminuzione delle precipitazioni: fiumi e laghi si prosciugano fino a scomparire. Molte specie di pesci e di anfibi si estinguono e le piante smettono di crescere. Le catene alimentari perdono tasselli importanti, compromettendo anche l’esistenza di specie che possono resistere per lunghi periodi senza liquidi.
Il Dna dei vegetali subisce importanti mutazioni, disturbando la regolare crescita delle foglie e delle radici. Dopo due anni è l’uomo ad accusare il colpo peggiore. Per due miliardi di persone la mancanza di organismi autotrofi è l’anticamera di gravi carestie: grano e riso non crescono più e per chi si ciba di questi alimenti non può esserci futuro. Peraltro gran parte del pianeta è invivibile a causa delle bassissime temperature e non c’è modo di potersi spostare verso aree geografiche dove l’alimentazione è assicurata.
A cinque anni dalla guerra nucleare lo strato di ozono ridotto del 25% provoca un aumento esponenziale di tumori epidermici. E già da tempo sono tornate a farsi strada malattie causate dall’assunzione di cibo di scarsa qualità. Le acque contaminate non consentono di abbeverarsi con sicurezza e le epidemie dilagano. La fisiologia cellulare è alterata da un’impennata dei radicali liberi (suscettibili alle radiazioni nucleari), molecole alla base di moltissime patologie. Occorrono venti anni per tornare a livelli accettabili, con un timido riscaldamento che coinvolge un pianeta ancora stretto nella morsa del gelo. Trent’anni dopo la guerra nucleare torna a piovere con maggiore intensità, favorendo la ripresa definitiva di angiosperme e gimnosperme (le piante più evolute) che di nuovo colorano il pianeta regalando al cielo l’ossigeno, anche se molte zone rimangono fortemente contaminate dalle radiazioni che impediscono uno sviluppo sano.
Difficile dire a questo punto se e come l’uomo se la sarà cavata, e per quanti decenni ancora il pianeta dovrà fare i conti con la più grande tragedia climatica della storia. Tuttavia Robock è convinto che non ci sia nessuna ragione per mettere in atto un programma nucleare, nemmeno quello accarezzato dalla Nasa di provocare timide esplosioni per contrastare l’effetto serra. Questo è, infatti, quello che accadrebbe se l’uomo facesse scoppiare dall’oggi al domani cento bombe nucleari. Ma nessuno vuole immaginare (forse nemmeno Einstein ci riuscirebbe se fosse ancora vivo) cosa succederebbe se fossero molte di più, anche solo una piccola parte delle sedicimila sparse qua e là in tutto il mondo.