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 2018  gennaio 30 Martedì calendario

Anche i grandi piangono

Serrande abbassate, corridoi vuoti, parcheggi nei quali delle migliaia di macchine assiepate fino a qualche anno fa non c’è più traccia da tempo. È la fotografia della desertificazione dei centri commerciali negli Stati Uniti. Le cattedrali dello shopping, che proprio nel nuovo continente sono nate per poi conquistare il resto del mondo, vivono una crisi profondissima. Migliaia di attività sono già chiuse, altrettante rischiano di scomparire nel giro di pochi mesi. La società di ricerca immobiliare Green Street Advisors ha stimato che circa il trenta per cento dei mall d’oltreoceano è a rischio fallimento, per un totale di circa 13mila chiusure previste entro la fine del 2017. Colpa della concorrenza dell’e-commerce, che negli Usa è un fenomeno di massa, ma anche di un cambiamento radicale nelle abitudini di consumo. Che, piano piano, sta contagiando anche gli italiani. 
Se è vero che proprio gli Stati Uniti sono tradizionalmente precursori dei cambiamenti sociali, anche nel nostro Paese il destino di ipermercati e grandi centri commerciali sembra segnato. Alcune fra le più importanti multinazionali del settore sono già alle prese con i primi segnali di allarme, fra licenziamenti, esuberi e dipendenti in mobilità. Altre sono alla ricerca della formula vincente per non crollare. Perché adesso più che mai occorre cambiare per restare al passo e sopravvivere. Nel frattempo i dati di Federdistribuzione parlano di una contrazione degli affari che ha già raggiunto il due per cento. Anche la rete della grande distribuzione alimentare ha subito una notevole riduzione nel periodo compreso fra 2010 e 2016, segnando il meno 8,6 per cento. 
NUMERI DA BRIVIDO
Se sei anni fa gli ipermercati punti vendita con più di 4.500 metri quadrati di superficie erano 382, oggi sono 375. Numeri ancora molto lontani dalla crisi globale americana, ma che rappresentano un campanello d’allarme. «Quello che sta succedendo negli Usa potrebbe accadare anche da noi conferma Davide Arcidiacono, sociologo dell’università Cattolica di Milano esperto di consumi -. Bisogna considerare che in America questa formula è arrivata molto prima, in un momento di espansione economica. Se la crisi in Italia non è così accentuata è solo perché la saturazione di questo mercato non è ancora completa. Ecco perché la maggior parte dei distributori sta rivedendo le proprie strategie». Puntando sui piccoli negozi di vicinato. Sembra proprio questa la misura con la quale le multinazionali intendono difendersi. Dismettere i grandi mall in periferia e investire nel centro delle città. «Ormai sono moltissimi gli ipermercati e centri commerciali italiani in difficoltà, specialmente al Sud prosegue -. Stanno progressivamente diminuendo gli investimenti sulle nuove aperture, puntando di più sulle attività di vicinato. Stiamo assistendo al ritorno dei piccoli punti vendita». In una chiave più moderna. 
«La crisi economica cominciata nel 2008 ha spazzato via la classe media, modificando irrimediabilmente le abitudini di consumo prosegue l’esperto -. In un certo senso si potrebbe dire che non esistono più mezze misure. Il mercato è spaccato in due. Da una parte c’è la fascia bassa, che punta tutto sul risparmio. Dall’altra quella alta, che invece pone molta attenzione alla qualità dei prodotti. Questo spiega il proliferare dei discount e delle food boutique. Ma anche dei farmer market e della filiera cortissima. Che si pongono ai due poli opposti del settore. In questo quadro a soffrire sono proprio gli ipermercati, tradizionalmente frequentati proprio dalla classe media». 
QUARTIERI ALLA RISCOSSA
Mentre a vincere sono le botteghe di quartiere, che però vengono acquisite dai grandi marchi della distribuzione e trasformate in piccoli supermercati dove è possibile acquistare prodotti di marca ma anche di nicchia. Beni di prima necessità ma anche di fascia alta. E dove è possibile anche degustare, consumare un aperitivo, trasformare la spesa in un’esperienza accattivante. «Il settore sta subendo una profonda trasformazione che impone un ripensamento globale afferma il presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli -. Non esiste, dal nostro punto di vista, un rischio immediato di desertificazione dei centri commerciali in Italia, anche perché da noi il mercato è molto diverso rispetto a quello americano. Ma è chiaro che la crisi economica e lo sviluppo del commercio online hanno rivoluzionato questo mondo. I primi segnali di cambiamento sono davanti ai nostri occhi: i mall hanno cominciato a ridimensionare gli spazi dedicati all’ipermercato, puntando invece su gallerie commerciali di ottimo livello e piene di negozi in grado di attirare i consumatori. 
LA SFORBICIATA
Contemporaneamente hanno iniziato a lavorare di più sulla qualità alimentare, spingendo il fresco e freschissimo, anche grazie alla costruzione di isole che riproducono i mercati di quartiere». Altri hanno invece puntato sulla specializzazione. «Questo spiega il successo dei centri commerciali dedicati al design come Scalo Milano. O di quelli che hanno puntato tutto sullo shopping e sulla moda, come Arese», spiega ancora Arcidiacono. Perché in Italia, dal 2008 in poi, nulla è stato più come prima. 
La crisi economica ha spinto milioni di famiglie a risparmiare su tutto, anche sulla benzina. «Raggiungere i centri commerciali in periferia ha cominciato a diventare troppo dispendioso conferma Sandro Castaldo, docente dell’università Bocconi di Milano -. A meno che non fossero in grado di offrire qualcosa in più, in termini di scelta e servizi, rispetto ai supermercati più piccoli, a due passi da casa. Poi c’è da considerare anche un altro fattore: l’ipermercato spinge a fare una spesa consistente, e quindi a spendere somme di denaro ingenti. Così piano piano le famiglie hanno cominciato a frequentare le piccole attività di quartiere, comprando solo lo stretto necessario. Giorno per giorno. E questo ha di fatto innescato la crisi degli ipermercati, che oggi è più evidente».