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 2018  gennaio 29 Lunedì calendario

Energia verde, c’è il sorpasso centrali eoliche e solari ora costano meno del carbone

In Europa è accaduto in Germania, con le ultime gare che hanno assegnato i nuovi impianti eolici al largo del Mare del Nord. Ma la stessa cosa si è ripetuta in Sud America: in Messico, in Cile e anche in Brasile, sempre nell’eolico ma in questo caso per gli impianti “on shore”. Cosa hanno in comune le diverse parti del mondo appena citate? Sono le nazioni dove, per la prima volta a partire dagli ultimi mesi del 2017, i costi per produrre nuovi impianti rinnovabili per la produzione di energia elettrica – sfruttando la forza del vento – sono risultati più bassi dei costi per la realizzazione di nuove centrali alimentate da fonti tradizionali, gas e carbone. Una novità destinata a cambiare nei prossimi anni l’industria dell’energia e che non abbraccia soltanto l’eolico.
La stessa tendenza si è registrata nel fotovoltaico e, in parte, ci riguarda da vicino. Perché oltre alla gara nel solare assegnata negli Emirati Arabi con un ribasso record, anche gli impianti appena allacciati alla rete elettrica nazionale a Montalto di Castro (alle porte di Roma) per un impianto da 63 megawatt sono stati considerati dagli esperti in “grid parity”. Detto in modo più diretto: per la prima volta, le rinnovabili sono più convenienti dei combustibili fossili per produrre energia elettrica, anche senza bisogno di ricorrere a sussidi o a incentivi pubblici.
Tra gli addetti ai lavori, in molti ne erano già convinti. Ma dalla fine dell’anno scorso, le certezze si sono consolidate. Tanto che ora possono essere messe nero su bianco: «Installare nuove capacità di generazione elettrica rinnovabile è ormai non soltanto una scelta di responsabilità ambientale, ma anche sempre più di convenienza economica». Lo ha dichiarato, la settimana scorsa, Adnan Amin il direttore generale di Irena, l’Agenzia internazionale delle energie rinnovabili nata nel 2010, una istituzione che è anche “osservatore” ufficiale delle Nazioni Unite. Il rapporto Irena Amin ha pronunciato queste parole presentando l’ultimo rapporto dedicato proprio ai “costi di generazione”, in cui viene sottolineato con forza il calo dei prezzi. I dati presentati dallo studio sono inequivocabi-li: i costi dell’energia eolica “on shore” sono scesi dal 2010 al 2017 di un quarto, mentre per il fotovoltaico si può tranquillamente parlare di un crollo, essendo diminuiti nello stesso periodo del 73 per cento. Ma Irena non è assolutamente da sola. Già in precedenza, il World Economic Forum – lo stesso che organizza gli incontri appena terminati a Davos – aveva preso posizione sostenendo che la rivoluzione non sarà solo tecnologica, ma anche economica: la riduzione dei costi non potrà che attirare sempre più investimenti verso le rinnovabili. Il Wef cita dati tutto sommato simili: il solare ha già superato in molte parti del mondo il carbone per convenienza e già entro il 2025 potrebbe esserci il sorpasso a livello globale e a quel punto puntare sul solare sarebbe la scelta razionalmente più logica. Non a caso, a guidare la rivoluzione verde, sono soprattutto Cina e India: le due superpotenze asiatiche, è vero, continuano a costruire centrali a carbone, ma meno di quanto avevano previsto negli anni scorsi. E soprattutto, sono destinati a diventare i primi due paesi al mondo per crescita delle rinnovabili. La Cina lo è già, avendo superato – anche nella produzione di pannelli fotovoltaici gli Stati Uniti e l’India sta arrivando a ruota. I numeri del primato sono appena stati rivelati dal rapporto di Bloomberg New Energy Finance: gli investimenti in Cina trainati proprio dal taglio dei costi – sono stati più della metà di quelli mondiali, con un ulteriore balzo della potenza installata, 53 gigawatt contro i 30 del 2016. E in India è stato rilevato come a fine 2017, i nuovi impianti commissionati prevedono 10 gigawatt di rinnovabili e “solo” 8 di carbone. Ma ci sono altre aree del mondo, che stanno accelerando gli investimenti nella green economy. Uno di questi è il Messico, dove tra i protagonisti della nuova stagione delle rinnovabili “low cost” c’è anche il principale gruppo italiano del settore, nonché leader anche a livello globale, Enel Green Power. Il suo amministratore delegato Antonio Cammisecra, conferma come la tendenza in atto sia inarrestabile: «I risultati delle ultime gare che si sono svolte in diverse parti del mondo e lo sviluppo della tecnologia, che evolve più velocemente delle previsioni, ci indicano una strada da cui non si potrà più tornare indietro. L’effetto competitivo Si tratta di elementi che dimostrano come l’affermarsi delle rinnovabili abbia soprattutto motivazioni economiche: il costo marginale per la produzione di energia da fonti tradizionali, gas o carbone, è più alto di quello di un impianto eolico o fotovoltaico di nuova costruzione. In altre parole, gli impianti rinnovabili sono sempre più convenienti rispetto alle centrali tradizionali e riescono a competere senza incentivi o sussidi. Non è un fenomeno puntuale, è la regola generale, la grande trasformazione energetica in atto». Il ragionamento è confortato proprio dai numeri: sempre secondo i dati citati da Bloomberg, nel 2017 è stato toccato un altro record negli investimenti totali, arrivati a quota 333,5 miliardi. Rispetto ai dodici mesi precedenti si tratta di un incrementi del solo 3 per cento, ma l’aumento della potenza installata è stata nettamente superiore proprio grazie al calo dei costi. Ne esce un quadro complessivo da cui si potrebbe dedurre che sul futuro delle rinnovabili il sole splenda e il vento soffi fortissimo. In realtà, a spingere in favore delle rinnovabili è stato il crollo dei prezzi dei pannelli solari e la maggiore efficienza delle turbine e delle pale eoliche. In altre parole, realizzare un impianto costa sempre meno. Perché nonostante gli sviluppi della tecnologia, la diffusione delle rinnovabili nel mondo non sta procedendo alla velocità auspicata da molti. Secondo il think tank “Ren 21”, nato per promuovere la diffusione delle rinnovabili, allo stato attuale le energie verdi – se si escludono gli impianti idroelettrici – coprono soltanto l’8 per cento della capacità totale di generazione a livello globale. «Il calo dei costi della tecnologia pulita è andato ben oltre le aspettative», ha dichiarato Laurence Tubiana, responsabile della European Climate Foundation, la quale ha commissionato uno studio in cui si dimostra come l’Europa stia sottovalutando l’accelerazione della curva tecnologica. Secondo lo studio, infatti, le energie rinnovabili a basso costo e la flessibilità della domanda potrebbero sostituire più della metà della produzione di carbone e gas dell’Unione entro il 2030. Per la precisione, potrebbero addirittura raggiungere una quota del 61 per cento. Gli obiettivi Ue Un appello che l’Unione ha raccolto solo in parte, visto che nella recente revisione degli obiettivi “vincolanti” il Parlamento europeo ha approvato un documento in cui la quota di produzione da rinnovabile al 2030 è salita dal 27 al 35 per cento. Oltre ad alzare sempre al 35 per cento la quota di crescita dell’efficienza energetica e al 12 per cento la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili da utilizzare nel settore dei trasporti. Per molte associazioni ambientaliste non è abbastanza e puntano il dito contro le istituzioni europee che continuano a sottostimare l’impatto della curva tecnologica. E di conseguenza, ritengono che non si stia facendo abbastanza per contrastare il climate change e gli obiettivi di Parigi. Invece, sempre secondo lo studio dell’European Climate Foundation, arrivare al 61% di quote di rinnovabili entro il prossimo decennio, significherebbe diminuire le emissioni del settore energetico di quasi il doppio rispetto agli obiettivi più conservativi: un calo che potrebbe arrivare al 55 per cento rispetto alle emissioni attuali, invece del 30 per cento previsto.