la Repubblica, 30 gennaio 2018
La malaria non ha confini
La malaria, nella sua forma più grave, quella provocata dal protozoo Plasmodium falciparum, può essere considerata uno dei killer più spietati con cui l’uomo si è dovuto confrontare da sempre. L’Oms ha da poco pubblicato il World Malaria Report 2017: nonostante gli innegabili successi dell’ultimo decennio grazie anche all’impiego massivo di zanzariere impregnate di insetticida e al trattamento a base dei derivati dell’artemisinina della malaria non complicata, nel 2016 i casi stimati di malaria nel mondo sono stati circa 216 milioni con circa 445.000 decessi, la maggior parte bambini sotto i 5 anni ( circa 280.000 morti) concentrati nell’Africa Sub- sahariana. Considerando il numero dei paesi in cui ancora esiste la trasmissione della malattia ( 91), in pratica quasi la metà della popolazione mondiale è tutt’ora a rischio di infezione.
Non solo, nel documento di quest’anno si legge che, sebbene dal 2010 l’incidenza sia diminuita a livello globale, a partire dal 2014 il tasso di diminuzione si è arrestato e, in alcune aree endemiche, ha addirittura mostrato una preoccupante inversione di tendenza. Non è un caso che anche i fondi allocati dai principali finanziatori mondiali per sostenere i programmi di controllo della malaria, dopo anni di costante incremento, abbiano subito invece delle fluttuazioni tra 2015 e 2016. La malaria è una delle tre malattie legate alla povertà ( insieme a Tbc e Hiv/ Aids) e 2.7 miliardi di dollari messi a disposizione nel 2016 a livello globale sono ancora solo il 41% dell’obiettivo indicato dall’Oms per il 2020: un investimento globale annuo di 6.5 miliardi di dollari.
Quanto osservato nel 2015 e nel 2016 a livello mondiale è sicuramente un campanello di allarme che ci ricorda come la malattia sia ben lontana dall’essere definitivamente sconfitta e che addirittura in un prossimo futuro potremmo assistere al suo ritorno anche in zone da cui è stata eliminata anni fa. Come sembrano indicare alcuni casi di malaria sospetti “autoctoni” verificatisi lo scorso anno in Europa: in Italia ( 5), Francia ( 2), Grecia ( 6) e Cipro (3).
Esiste realmente il rischio di reintroduzione della malaria nei paesi europei, in particolare quelli del bacino del Mediterraneo? La valutazione del rischio viene fatta tramite la stima di parametri precisi, quali recettività e sensibilità – che indicano la presenza dei potenziali vettori in una determinata area e la loro competenza nei confronti del plasmodio – e vulnerabilità, ossia la presenza nel territorio di serbatoi di infezione ( portatori di gametociti) su cui le zanzare pungendo possono infettarsi. Studi recenti, realizzati nell’ambito di un progetto finanziato dalla Commissione Europea, in antiche zone malariche di Spagna, Francia e Italia hanno rilevato un potenziale malariogenico di queste aree piuttosto basso, anche se ciò non esclude casi autoctoni sporadici o focolai circoscritti.
Come dimostra l’outbreak malarico verificatosi recentemente in Grecia (42 casi nel 2011 e 20 nel 2012), una sorveglianza attiva e continua del territorio è imprescindibile per la prevenzione, in considerazione dei cambiamenti climatici che portano situazioni micro- ecologiche potenzialmente favorevoli allo sviluppo del ciclo biologico del plasmodio, e dei flussi migratori provenienti in gran parte da aree endemiche per malaria. Non è un caso poi che l’outbreak si sia verificato dopo la grave crisi economica che ha colpito la Grecia a partire dalla fine del 2009.
Sembra evidente dunque che per pensare di sconfiggere definitivamente la malaria non si possa prescindere da una disponibilità continua di risorse economiche adeguate: i paesi endemici devono avere sempre maggiori fondi a disposizione da investire nei locali National Malaria Control Programmes, mentre i paesi attualmente “malaria free” devono sostenere attivi programmi di sorveglianza.
I possibili scenari per l’immediato futuro non sono rassicuranti: il primo vaccino antimalarico della storia, l’Rts S/ As01, ha mostrato nelle fasi finali della sperimentazione una capacità di protezione tutto sommato limitata; i derivati dell’artemisinina su cui si basano oggi le terapie sembrano avere perso completamente efficacia in tutto il Sud-est asiatico e non ci sono in vista nuovi composti in grado di sostituirli. Infine le crisi economico- politiche internazionali mettono a rischio la disponibilità di finanziamenti adeguati per la lotta alla malaria e quindi il raggiungimento degli obiettivi Oms.
Se la resistenza ai derivati dell’artemisinina dovesse emergere e diffondersi in Africa saremmo costretti ad assistere a un disastro epocale. In mancanza di uno sforzo globale in termine di investimenti, il prossimo capitolo di questa lotta senza fine tra l’uomo e la malaria rischia di essere uno dei più difficili nel lungo percorso che porta all’eradicazione di questa malattia.