la Repubblica, 30 gennaio 2018
Daniil Trifonov: Pianoforte e Liszt si prendono tutto. «Addio viaggio di nozze»
PARIGI Entra con una baguette in mano nell’immacolato showroom della Steinway in Boulevard St. Germain, curvo sotto il cappotto scuro, calzoni troppo corti, capelli e barba che gli nascondono il viso, ventisei anni sciupati da troppe ore accartocciato sul pianoforte.
Qui dentro Daniil Trifonov – da un lustro il concertista più richiesto della scena internazionale, trionfatore all’Arthur Rubinstein International Piano Master Competition di Tel Aviv e all’International Tchaikovsky Competition di Mosca, e ora anche vincitore del Grammy 2018 con la sua interpretazione di Liszt nell’album Transcendental («Un album importantissimo per me, Liszt è un vulcano di idee, sia dal punto di vista tecnico che virtuosistico. Sono composizioni che hanno forgiato la musica del futuro, visionarie nella loro varietà armonica e strutturale») è nel suo tempio. Tutt’intorno pianoforti di varie forme e dimensioni, perfino uno candido con la firma di John Lennon e i versi di Imagine. Daniil si accomoda su uno sgabello, spalle a un sontuoso strumento a coda da 170 mila euro, e addenta la baguette noncurante delle briciole che rotolano sul parquet lucido. È distante, assente, ancora rapito dal trionfo, la sera prima, alla Philharmonie di Parigi, dove ha conquistato la sala con il repertorio di Chopin Evocations, il cd uscito poco prima de La trota di Schubert, in quintetto con la violinista Anne-Sophie Mutter.
«Mai sentito niente del genere.
Nel suo tocco c’è tenerezza ma anche qualcosa di diabolico», ha commentato la grande Martha Argerich. Tecnica mostruosa e coloritura splendente, sono tutti d’accordo, i critici più autorevoli, gli illustri colleghi, i grandi direttori da Chailly a Muti e Tilson Thomas, i sovrintendenti della Carnegie e della Royal Albert Hall.
In Italia lo rivedremo a maggio: il 21 alla Scala di Milano (Concerto per pianoforte e orchestra N. 3 di Prokofiev, con Daniel Harding) e il 23 al Carlo Felice di Genova. Il 25 al festival pianistico di Brescia e Bergamo. Tre settimane fa ha sposato la ragazza dominicana conosciuta durante gli studi a Cleveland. Arrossisce mentre lo confessa, si tormenta la vera d’oro bianco; niente viaggio di nozze.
«Da sette anni faccio concerti senza sosta». Lo sguardo è assente, la mente altrove, il tormento del grande artista palpabile. «Non si possono fare tre concerti a settimana, ci vuole il tempo per ricaricarsi.
Voglio dedicare più tempo alla composizione e porre più attenzione sulla musica del XX secolo, da Schnittke in poi. Ho in cantiere anche un progetto con Antonio Pappano e l’Orchestra di Santa Cecilia: un concerto a Roma e un tour».
L’ultima volta che ci siamo sentiti è stato via Skype, nel 2011, lei era nella cameretta della casa di Mosca, fresco vincitore di due concorsi prestigiosi. Ora vive a New York, la sua vita è cambiata.
«Non radicalmente, ho studiato sei anni a Cleveland, ormai ho fatto il callo alla lontananza. Mi piace l’energia di New York, la miriade di offerte; non le considero distrazioni ma comodità, nel poco tempo libero ho tutto a portata di mano.
Nostalgia? Non del paese, solo dei miei cari. Il pensiero spesso vola a Nižnij Novgorod, la mia città, bellissima. Ho vissuto lì fino a 8 anni, quando i miei si trasferirono a Mosca per farmi frequentare il conservatorio. Il passo successivo fu Cleveland, anni di studio accanto a Sergei Babayan, con il quale nell’ultimo cd ho inciso il Rondò in Do maggiore per due pianoforti».
Come il titolo lascia intuire, “Evocations” è un doppio album dedicato non solo a Chopin, ma a tutti quelli che sono stati toccati dalla sua grazia.
«Esatto, anche artisti che ne sono stati appena sfiorati, come il primo Scriabin o Ravel; oppure omaggi espressamente scritti per Chopin, come quelli di Grieg, Tchaikovsky, Schumann, Barber e Mompou.
Chopin è pura poesia in musica, il suo liricismo, l’intimità dei colori e delle espressioni sono profondissimi; riesce a toccare strati sottili di emozioni. Non sono d’accordo con chi considera la sua musica ricreativa, al contrario è intensa anche nelle composizioni cameristiche, ha uno spessore emotivo che lascia di stucco».
In questi pochi anni ha molto migliorato la sua attitudine. Il pubblico è ammaliato dalla solennità, dal rispetto e dalla passione che riesce a trasmettere già quando appoggia le dita sui tasti.
«In realtà sono solo concentrato, totalmente sprofondato in me stesso, mentre la mia mente anticipa i movimenti successivi.
L’errore sarebbe lavorare al contrario, farsi distrarre da quel che si è già suonato. È importante che il pensiero preceda la musica.
Succede anche nel calcio, non passi il pallone a caso, hai una strategia in mente, delle combinazioni.
Ma forse non è una buona idea paragonare Chopin al calcio…».
Ci sarà a breve un album di sue composizioni, magari chopiniane?
«Come compositore sono decisamente più influenzato dai russi dei primi del Novecento, come Mussorgsky, Scriabin, Prokofiev e più recentemente Rachmaninoff.
Ma non sono pronto per un disco, non ho abbastanza repertorio, finora solo un paio di suonate e un concerto per pianoforte che magari eseguirò prima dal vivo».
La musica può diventare ossessione, persecuzione, una padrona per uno che come lei le ha sacrificato tutto?
«Se m’innamoro di una composizione, le dedico tutto. Non si resiste alla musica».