La Stampa, 30 gennaio 2018
Il Duce riappare a Roma: Si ride, poi ci si vergogna. Massimo Popolizio veste i panni di Mussolini
Per il Mussolini redivivo di Sono tornato l’Italia di oggi è un vero incubo. Bambini di colore giocano nel cuore della capitale: «Ciabatte, polpacci nudi, sono ad Addis Abeba? Dove è finito l’Impero?». Parole inglesi sostituiscono la lingua autarchica: «Mouse? Perché non lo chiamano semplicemente topo?». E la coscienza italica è trascurata in favore di continue, facili, abbuffate: «La democrazia è in putrefazione e voi non fate altro che mangiare. Chi rinuncia alla lotta rinuncia alla vita».
Stordito, sdrucito, stupito, il Duce, misteriosamente riemerso dalla Porta Magica di piazza Vittorio, a Roma, affronta a fatica la nuova realtà e a poco a poco se ne impadronisce grazie a quelli che ostinatamente chiama «media sociali». Filmato dal giovane documentarista Canaletti (Frank Matano), che lo ha scambiato per uno sconosciuto talento della comicità, Benito Mussolini (Massimo Popolizio) tornerà trionfalmente al centro della scena italiana, osannato dal pubblico, almeno fino a quando la legge della tv dei grandi ascolti non stabilirà che è arrivato il momento di sostituirlo con un’altra telestar.
Diretto da Luca Miniero, il regista del campione di incassi Benvenuti al Sud, basato sul libro di Timur Vermes e ispirato al film di Davis Wnendt che ipotizzava il rientro in patria di Adolf Hitler, Sono tornato si apre con i toni della commedia ridanciana e si chiude con quelli del dramma grottesco: «All’inizio – dice Miniero – si ride, poi ci si vergogna un po’. Il mio non è un film sul Duce, ma sull’Italia di oggi. Ci mostra che Mussolini non è un alieno e che, se incute timori, non è tanto perché potrebbe riportare il fascismo al potere, ma perché è molto simile a noi, fa già parte del nostro paesaggio morale». Uno scenario che, in piena campagna elettorale, appare secondo Miniero chiaramente intelligibile: «Paradossalmente tutti i partiti, di destra e di sinistra, utilizzano il populismo come arma di distrazione di massa. Quello che dichiara il nostro Duce riassume quello che dicono i politici di adesso, per esempio, sulla questione immigrati. E questo è l’aspetto inquietante».
L’altro riguarda il modo con cui le persone (quelle ingaggiate per le riprese, ma anche quelle intervistate nella realtà, filmate con candid camera e poi inserite nel racconto) reagiscono alla strana apparizione: «Alcune reazioni sono violente, ma l’atteggiamento che predomina è l’accondiscendenza, la tendenza a giudicare con indulgenza». E questo, prosegue il protagonista Popolizio, è il dato che più differenzia il film italiano da quello tedesco: «Lì le persone, rivedendo Hitler, si mostrano schifate. Qui, invece, vogliono farsi il selfie».
Nei panni del dittatore, Popolizio è stato ben attento a evitare la parodia: «Il rischio era farne la macchietta di un film italiota, di imitazioni di Mussolini ne abbiamo già avute tante, per questo non ho voluto un trucco pesante, altrimenti al mio posto avrebbero potuto prendere Crozza. Qui è diverso, raccontiamo un personaggio vero, immerso in un contesto assurdo».
Scritto dal regista con Nicola Guaglianone, prodotto da Indiana Production con Vision Distribution (che lo fa uscire da giovedì in 400 sale) Sono tornato aprirà dibattiti e magari scatenerà polemiche: «Non c’è apologia – dice Miniero -, volevamo uscire dal terreno ideologico». Nell’opera il linguaggio documentaristico si mescola a quello televisivo: «Ho usato stili diversi per provare a rendere la verità di un ambiente in cui il nostro Zombie torna. E, come tutti gli Zombie, fa paura, soprattutto perché involontariamente ci fa capire che noi stessi non siamo tanto vivi». Per la cronaca, Alessandra Mussolini ha visto il film e «lo ha giudicato bene». Una notizia dalla valenza duplice. Mai come in questo caso, bisogna vedere per capire.