Corriere della Sera, 30 gennaio 2018
Incredibile ma veri
Quando Di Maio, faccia da genero di tutte le mamme, ha presentato l’ammiraglio Rinaldo Veri come «il meglio dell’Italia», ogni anima sensibile ha provato un brivido di emozione. E quando «il meglio dell’Italia» ha illustrato le originalissime ragioni della sua candidatura (il futuro dei nostri figli), il brivido è aumentato, anche per merito di un mancato congiuntivo esploso tra le sue labbra per dovere di ospitalità. Ma i brividi sono diventati fremiti all’ora di pranzo, quando il Nelson dei Cinquestelle è stato costretto a ritirare la candidatura, dopo la scoperta che faceva il consigliere comunale a Ortona in una lista di centrosinistra collegata al Pd. Gli strali dei malevoli si sono indirizzati sul povero Di Maio, colpevole di mancato controllo. A me affascina di più la psiche dell’ammiraglio. Un uomo tanto impegnato a pensare al futuro dei nostri figli può non conoscere il regolamento del partito con cui si candida, ma dovrebbe almeno accorgersi che non è lo stesso di cui fa parte. Se uno sta con Renzi a Ortona e con Di Maio a Roma, chi ci garantisce che non sia leghista a Busto, dalemiano a Gallipoli e sudtirolese nella Bolzano di Maria Elena Boschen? In Italia abbiamo elevato il cambio di casacca a un’arte, però mai finora un virtuoso del ramo era riuscito a indossare la nuova senza togliersi prima quella vecchia. Qui dove tutti sono maestri nel fiutare il vento per restare a galla, «il meglio dell’Italia» non poteva che essere un ammiraglio.