La Stampa, 30 gennaio 2018
Così il respiro delle piante ripulisce l’aria di casa
Monossido di carbonio, biossido di azoto, idrocarburi policiclici aromatici, composti clorurati, tetracloroetilene, benzene, naftalene, formaldeide, Kathon CG (un antimicrobico contenuto nei detersivi) abitano con noi. Dietro al buon profumo dei pavimenti appena lavati spesso si nasconde una forma invisibile di inquinamento che provoca mal di testa, allergie, bruciori agli occhi. Se ne parla da anni, ma siamo figli del «bianco che più bianco non si può» e dello «splendido-splendente»: il bio è ancora una nicchia.
Eppure, a parte cambiare abitudini, eliminando insetticidi e vernici tossiche, possiamo migliorare l’aria indoor con un mix di piante, alcune facili e comunissime, come pothos e dracene, altre un po’ meno, come la Rhapis Excelsa, una palma originaria del Sud della Cina con fusto sottile e foglie a ventaglio. Sarà il caso di rivalutare anche la «noiosa» kenzia, un classico del salotto borghese, il ficus benjamina, o la varietà «elastica». A tutti i dirigenti, fino agli Anni 70, ne veniva data in dote una alta almeno un metro per sottolineare lo status. Non era una cattiva idea. Aiutava ad abbattere il fumo di sigaretta (non c’erano ancora i divieti) e le sostanze nocive prodotte da stampanti e fotocopiatrici.
Gli studi
Il primo studio, pubblicato nel 1989, è della Nasa e comprende una lista di 50 piante più o meno decorative, più o meno banali, ma tutte utilissime. Una ricerca di Faber (l’azienda che ha inventato la cappa da cucina e ne produce molte, sofisticate ed eleganti) rilancia il discorso in termini di lifestyle con una sensibilità tutta contemporanea. Con la green designer Sonia Santella le «solite piante» diventano mix intelligenti di amiche anti-inquinamento da coltivare in cesti, cassette, piccole vasche, da accostare alle aromatiche per avere un po’ di profumo, o a qualche fiore.
«Certi living con la kenzia o il ficus in un angolo fanno parte di ricordi polverosi, demodé, ma basta cambiare posizione, creare un angolo verde con il falangio – ce ne sono alcuni bellissimi – e i pothos variegati, o raccogliere un gruppo di dracene, e ne guadagneremo in salute oltre alla gioia per gli occhi». La mite gerbera, una margherita decorativa e multicolor piuttosto comune fa la sua parte contro la trielina, sostanza usata nelle lavanderie a secco. Ce la portiamo a casa negli abiti puliti. L’anturium, che ha foglie lucide a forma di cuore e fiori cerati rosso brillante (i più belli), rosa o bianchi, è così servizievole da rimuovere 10 microgrammi di ammoniaca ogni ora e anche buone percentuali di formaldeide (usata per asciugamani, panni di carta, lacche), toluene (impiegato per sciogliere resine, grassi, oli, vernici, colle, coloranti) e xilene (solvente nella stampa e per la lavorazione delle gomme e del cuoio).
Eroine anti smog
La felce di Boston è imbattibile contro il fumo, il gas dei fornelli, gli smalti e i sacchetti di plastica, ma l’edera che si arrampica ovunque, anche in casa se glielo permettete, è una super-eroina contro il biossido di azoto e le polveri sottili. In città inquinate come Milano, Torino e Napoli bisognerebbe farla crescere in abbondanza. Poi ci sono le meravigliose dracene, secondo gli scienziati le piante più sensibili e «interattive». Non solo combattono il malefico trio benzene-toluene-xilene, ma riducono lo stress, l’ansia, la tristezza. Non a caso la variante fragrans «massangena» è chiamata anche «tronchetto della felicità». Non è solo marketing.
Ma c’è un ma. Tanti dicono: non ho il pollice verde. Niente scuse. Alcune delle piante più servizievoli sono resistenti ai parassiti, alle dimenticanze (di acqua) e hanno pochissimo bisogno di cure. La Sansevieria trifasciata (detta «lingua di suocera», perché ha foglie carnose e lunghissime) assorbe alcool, acetone, benzene e piccole quantità di formaldeide e xylene. Di notte purifica l’aria dall’anidride carbonica e rilascia ossigeno. In cambio chiede poco: acqua una volta la settimana, luce anche indiretta, e non protesta. Altro che suocera.