La Stampa, 30 gennaio 2018
Chesterton profeta della decrescita felice. In un articolo del 1924, inedito in Italia, lo scrittore inglese anticipa la critica allo sviluppo
Gilbert Keith Chesterton è stato non solo l’estroso inventore di padre Brown, il popolare prete detective che faceva da contraltare al positivista Sherlock Holmes, ma anche il profetico cantore della decrescita felice. Lo rivela un articolo, inedito in Italia, pubblicato sull’Illustrated London News l’11 ottobre 1924 e intitolato significativamente La speranza in un declino della civiltà.
Nebbia londinese
Lo scrittore inglese ricorda di come, una mattina nebbiosa di quell’autunno, si trovasse sul tradizionale taxi nero londinese, inesorabilmente bloccato nel traffico. Nota con una certa ironia che quella macchina, creata per aumentare in modo esponenziale la velocità dei nostri spostamenti, in realtà, nella congestione tipica dei grandi centri urbani, ci rende «immobili», mentre «nei bei vecchi tempi si poteva tranquillamente passare da una parte all’altra della città, con una certa rapidità, contando solo sui propri piedi». Nonostante gli sforzi di un povero vigile sommerso dallo smog, «il traffico creava barricate più impenetrabili di quelle dei rivoltosi».
Si era in tempi di scioperi generali e sommosse. Chesterton però non si lamenta: «Il ritardo non mi disturbava affatto, in quanto sono un conservatore, rilassato di carattere. Immaginavo con un certo piacere di rimanere bloccato lì per sempre, mentre la folla di taxi si trasformava in una folla di villette. Mi piaceva pensare che l’edera potesse crescere sulle ruote e arrampicarsi sui vetri del cab. E godevo al pensiero di tutta quella gente che aveva comprato le auto nella speranza di velocizzare la loro vita». Tutti allegramente incolonnati tra i fumi di scappamento. Chesterton nota che «alcuni guardano ancora al progresso, nel senso di avanzamento scientifico, con speranza. Altri disperano per il declino della civiltà. Ma in pochi sono così eccentrici da sperare nel declino. Eppure penso che vi sia da dire qualcosa in favore di questi eccentrici».
Non è detto infatti che «l’uomo che è precipitato nelle maglie tentacolari dell’impero, della burocrazia e dei grandi centri commerciali non sia tentato di tornare a una vita più semplice». Se, infatti, «le nostre città diventassero dei deserti e i loro grattacieli cadessero in rovina, forse l’umanità tornerebbe ad essere più umana». Nel turbinio della vita moderna, con tutte le sue frenesie e nevrosi, «abbiamo bisogno di fermarci un attimo», di «essere illuminati da idee più semplici». Esattamente come quel salutare «ritorno alla semplicità degli inizi del medioevo».
San Francesco
Chesterton è convinto, già nel 1924, che un progresso senza freni, un industrialismo esasperato, può portare all’autodistruzione del pianeta. E se «la nebbia di Londra è un prodotto della scienza moderna», va da sé che «gli uomini del VI secolo vivevano in un mondo molto più chiaro». Il pensiero medioevale, san Tommaso e san Francesco in testa, per Chesterton è infatti un capolavoro di chiarezza se confrontato al nebuloso speculare dei moderni. Ecco perché secondo G.K. la società dovrebbe lasciarsi cullare dal sonno, «un sonno ristoratore e rinfrescante», come nell’alba del medioevo quando «gli uomini risorsero come giganti rinfrescati dal vino. Era la primavera dei trovatori e dei frati; della nuova e naturale nobiltà che san Francesco portava nel suo cuore. Ci sarebbero stati destini peggiori del declino e della caduta dell’impero romano. Sarebbe stato molto peggio se il vecchio impero pagano non fosse declinato e crollato, ma solo ingrandito e arricchito paganamente. Che benefici ci sarebbero stati se avessero costruito anfiteatri più giganteschi del Colosseo? A cosa sarebbero serviti bagni pubblici più imponenti delle terme di Caracalla?».
Tutto il «vecchio macchinario pagano non avrebbe reso il mondo pagano più felice, e sappiamo bene che incrementare i macchinari moderni non renderà felice il nostro mondo. Non avrebbe salvato l’umanità dare al popolo di Roma più panem et circenses. Non salverà l’umanità dare al proletariato moderno più sussidi di disoccupazione e sale cinematografiche. Ciò che non funzionava nella formula di panem et circenses non era il fatto che la carità o i divertimenti fossero un male in sé. Era piuttosto il fatto che la gente otteneva cose che non poteva controllare o comprendere; le ricevevano in forma artificiale e indiretta, invece che trovarle in modo diretto e naturale. Ricevevano il pane invece di coltivare il grano, e lo ricevevano da schiavi e non da uomini liberi».
«Ciò che propongo», continua Chesterton, «è quello che potrebbe apparire una buona novella ‘dell’età oscura’, un vangelo di ironia gioiosa. Penso che sia bene insistere che anche se la nostra civiltà industriale si dissolvesse, non si tratterebbe solo di una distruzione. Anche se si spezzasse in tante parti, ogni parte si troverebbe liberata più che perduta. Persino la fine della moneta come mezzo di scambio potrebbe ristabilire la posizione dell’uomo che crea le cose, al posto di quello che semplicemente le compra e le vende. Anche il ridimensionamento delle città potrebbe rappresentare l’allargamento della cittadinanza».
Riscoperta
Nel suo stile paradossale, scherzoso e a tratti grottesco, Chesterton auspica il ritorno a uno stile di vita più naturale, più semplice, persino «barbarico», sicuramente francescano, per arginare i mali, sociali e umani, dell’industrialismo moderno, che in Inghilterra già alla fine dell’800 era salito alla ribalta con tutti i suoi orrori, nuove povertà e schiavitù. Lo scrittore bonaccione, che aveva paura dell’ascensore e difendeva i vecchi caminetti contro il riscaldamento centralizzato dei condomini moderni, può apparire oggi anacronistico. Ma secondo molti il suo messaggio è ancora attuale, anche in tempi di economia 2.0. Forse non è un caso se diversi ambienti, soprattutto cattolici, negli Stati Uniti, in Inghilterra e anche in Italia, puntino su una «Chesterton renaissance». Tutta una serie di incontri, convegni, pubblicazioni (ultime, in ordine di tempo la biografia di Paolo Gulisano e Daniele De Rosa dedicata a Chesterton. La sostanza della fede, edizioni Ares, nonché il curioso Leggendo Shakespeare, Rubettino, che raccoglie i testi sul drammaturgo di G.K.) e persino una scuola media a San Benedetto del Tronto ispirata alla pedagogia chestertoniana, mirano a rivalutare la sua visione del mondo.