Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2018
Un caso che riscrive la storia dell’auto. Tutti i grandi gruppi sono stati costretti ad accelerare la transizione verso l’elettrico
Quindici settembre 2015, Francoforte. Sotto i riflettori del salone dell’automobile le case tedesche mostrano, come ogni due anni, i muscoli con nuovi modelli e concept avveniristici. Incontriamo Ulrich Hackenberg, numero uno della tecnologia di Audi e del gruppo Volkswagen e ci racconta le magnifiche sorti progressive di un’industria, quella dell’auto tedesca che però da li a qualche giorno subirà un’improvvisa e drammatica “evoluzione”. Esplode infatti il Dieselgate. Il gruppo Volkswagen ammette di aver barato, di aver truccato le centraline di gestione dei suoi motori diesel (in particolari i 4 cilindri euro 5) con un software, il famoso cheating device, per fare in modo che le emissioni di NOX fossero in linea con le norme Usa, quando in realtà in condizioni normali non sarebbe stato così. Il danno è enorme, il gruppo di Wolfsburg è costretto a richiamare 8,5 milioni di vetture, spendendo cifre che si avvicinano ai 20 miliardi tra rimborsi, multe e operazioni di ripristino delle vetture.
Il Dieselgate diventa un caso mediatico, uno tsunami che ha cambiato la storia dell’automobile e ancora non è finita. La vittima più illustre è l’eurocentrico motore diesel, che in realtà è un propulsore virtuoso per quanto riguarda le emissioni di CO2 (quelle dove si concentra prevalentemente l’azione politica) ma le case iniziano a ripensarci e i consumatori più attenti all’ambiente lo guardano con sospetto. Far rientrare i diesel, soprattutto quelli di piccola cilindrata, nelle norme anti-emissioni attuali è difficile e costoso. Meglio cercare altre vie, come l’ibrido (Toyota leader e pioniera si sta sfregando le mani da oltre due anni), l’ibrido plug-in (quello che si ricarica alla spina) e l’elettrico puro.
Il Dieselgate è da considerare il Rubicone dell’industria dell’auto, un punto di non ritorno, al di là della reale portata del danno ambientale effettivo (da verificare) e del fatto che alla fine i consumatori non hanno finora penalizzato le vendite (due settimane fa il gruppo Volkswagen ha registrato il record storico di 10,7 milioni di auto vendute nel 2017). Va detto che lo scandalo dei motori a gasolio taroccati ha generato però un danno di immagine per tutte le case costruttrici, vanificando decenni di innovazioni (anche imposte ex lege) che hanno portato le auto attuali, anzi moderne (da euro 4 in avanti) ad essere enormemente molto meno inquinanti di una volta, ma questi dati nello storytelling mediatico che fa credere che Tesla sia veramente il futuro conta poco.
Ma che cosa ha portato di buono il Dieselgate? In primis ha impresso una spinta all’innovazione. Le case automobilistiche, quelle tedesche, che sono anche le più ricche, hanno messo sul piatto decine di miliardi per l’auto del futuro. Basti pensare che Volkswagen ora sta introducendo una nuova gamma (si chiama i.D.) fatta di elettriche al 100% che rappresenteranno la sua terza era dopo il maggiolino e la Golf. E tutto il gruppo tedesco conta di vendere entro il 2025 almeno un milione di auto elettriche.
E sulla scia di annunci a effetto wow di città come Parigi, che vogliono il bando dei diesel (se non dei motori a combustione interna) entro il 2040, tutte le grandi case (Daimler, Bmw, Jaguar Land Rover, Ford, Renault-Nissan, giusto per fare qualche esempio) hanno annunciato, in particolare nei mesi scorsi una roadmap verso l’elettrificazione. Questo non vuol dire auto elettriche soltanto ma ibride e comunque più pulite. Ma non solo: il Dieselgate ha riacceso l’attenzione verso l’innovazione e, tra eccessi di auto volanti e senza guidatore, presto avremo auto per tutti che guidano un po’ da sole.