Il Sole 24 Ore, 30 gennaio 2018
Bond e minibond, Nordest da record
Un piccolo esercito di medie imprese pronte a sbarcare in Borsa. Un aumentato ricorso al private equity e al private debt. Boom di emissioni di minibond e bond. Sempre più investimenti con capitale proprio.
Cambia la cultura finanziaria a Nordest. Complice il crollo dei due istituti bancari che per decenni hanno fatto da unico riferimento per il sostegno finanziario alle imprese (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca), le aziende, in particolare quelle venete, non sono rimaste a guardare e sulla spinta della concorrenza internazionale e della necessità di crescere, hanno vinto la timidezza e la diffidenza verso le forme di finanza alternativa. Guadagnandoci anche un più veloce ricambio generazionale ai vertici aziendali, visto che adottare nuove forme di finanza significa necessariamente dotarsi di un management moderno, spesso costituito da dirigenti esterni.
Le ultime rilevazioni del Barometro minibond dicono che nell’ultimo trimestre del 2017 si è registrato un vero e proprio boom dello strumento, maggiormente amato dalle Pmi grazie alla deducibilità degli interessi: le emissioni inferiori ai 50 milioni di euro sono state 28 per 147 milioni. Dato che ha portato ad un complessivo 2017 a quota 1,805 miliardi. Ma anche le operazioni di taglio molto grande (più di 150 milioni) sono aumentate, facendo registrare in totale a fine 2017 oltre 300 emissioni per più di 14 miliardi. In questa vitalità il Veneto primeggia: la regione guida la classifica italiana, con 490 milioni pari al 27,1% del totale, seguita da Lombardia (407 milioni, pari al 22,5%), Emilia Romagna (206 milioni, l’11,4%), Trentino e Alto Adige (113 milioni, il 6,2%), Piemonte (110 milioni, il 6,1%), Toscana (99 milioni, pari al 5,4% del totale). Il taglio medio delle emissioni scende (7,3 milioni, con cedole al 5,13, per una durata media di 5 anni), ma si amplia la platea dei settori che si avvicinano allo strumento: imprese manifatturiere, con una attenzione da parte del food&beverage, utilities, società di energia, servizi finanziari.
Più in generale, il ricorso a operazioni di private equity – l’investitore rileva quote di una società per poi seguirne lo sviluppo industriale – e private debt – l’investitore concede credito ma senza incidere nella governance dell’impresa – hanno registrato un aumento considerevole a Nordest. «Il Veneto, grazie anche allo strumento del private debt, ha saputo reagire e investire nel tessuto imprenditoriale – spiega Anna Gervasoni,direttore generale di Aifi, l’associazione italiana del private equity, venture capital e private debt – per farlo crescere e diventare più forte e vaccinato contro le future crisi». Secondo i dati Aifi, infatti, la regione si colloca, nel primo semestre del 2017, al terzo posto nella classifica italiana per numero di operazioni di private debt (17), mentre al secondo posto, dietro alla Lombardia, segna il passo il Trentino Alto Adige (21 operazioni), che ha performato con numeri da record anche nel secondo semestre dell’anno.
Il trend nelle due province autonome è confermato anche dagli attori del territorio: Finint Investments SGR – la finanziaria di Conegliano (Treviso), veicolo di un terzo degli investimenti italiani in questo campo, che ha scelto di restare e operare sul territorio nordestino – ha sottoscritto nel solo secondo semestre dell’anno scorso 12 emissioni con il Fondo Strategico Trentino-Alto Adige, per 46 milioni di euro, contro le tre del primo semestre. In una sola settimana ha sottoscritto minibond con Gruber Invest, con Paganella 2001 e con Eurobrico, per citare alcuni esempi. «Il secondo semestre 2017 è stato il migliore di sempre – afferma Mauro Sbroggiò, amministratore delegato di Finint -. Siamo riusciti a far breccia su argomenti su cui era difficile convincere l’imprenditore, ma l’approccio sta cambiando».
Che ci sia una svolta culturale in atto è inequivocabile. «C’è una crescente volontà di misurarsi con fonti di finanziamento alternative. Minibond, Pir, quotazione in Borsa sono un ventaglio di nuove opportunità per finanziare gli investimenti e la crescita, purché una quota importante di questa raccolta arrivi effettivamente alle Pmi», avverte Massimo Finco, presidente di Confindustria Padova, il quale interviene anche su un altro fenomeno che l’ha riguardato direttamente, in occasione della realizzazione del nuovo head quarter della sua azienda, la Facco di Campo San Martino:«Le aziende migliorano la redditività e riducono l’indebitamento anche per il maggior ricorso al capitale proprio. Aumentano gli investimenti, in molti casi via autofinanziamento».
E poi c’è la Borsa. Nel 2017 hanno debuttato aziende come la trentina Aquafil, leader nella produzione di fibre sintetiche impiegate nei settori della pavimentazione, o DBA Group, società trevigiana di consulenza tecnologica, solo per citarne un paio. Ma, secondo uno studio di Price Waterhouse Coopers, sono circa 250 le imprese del Nordest che, forti di una capitalizzazione superiore a 40 milioni di euro, potrebbero accedere al segmento Star di Borsa Italiana (165 in Veneto, 50 in Friuli Venezia Giulia, 35 in Trentino Alto Adige). E tantissime altre, più piccole, che possono accedere all’Aim. «Nel 2017 sono state molte le Ipo e anche le operazioni di consolidamento del patrimonio – spiega Nicola Anzivino, partner PwC -. A Nordest il capitale è cresciuto complessivamente del 5%, l’Ebitda delle aziende è il doppio in termini percentuali rispetto al fatturato ed è molto migliorato il rapporto Pfn/Ebitda. È un Nordest che sta crescendo in dimensione ma soprattutto in valore, in particolare in ambito manifatturiero».