Libero, 27 gennaio 2018
Bonifiche, architettura, lavoro. Quel lato «buono» del Ventennio
Col suo consueto stile plumbeo-retorico il presidente Mattarella ha celebrato la Giornata della Memoria.
E ha ricordato l’infamia delle leggi razziali. Parliamone. Guai a dimenticare. Ma non va dimenticato nulla. E allora, nel momento in cui il Fascismo viene inchiodato alle sue responsabilità storiche-ideologiche, la coscienza nazionale e l’onestà intellettuale impongono che, anche quel passato, soprattutto quel passato, e proprio nello spirito di una Costituzione “liberale”, venga raccontato “tutto”. Il che, ad esempio, significa che nel parlare del fascismo “repubblichino”, indubbiamente alleato dei nazisti debba ricordare il pensatore che ad esso consacrò fedeltà, vita e opere. E cioè Giovanni Gentile. Il quale, fascista fino all’ultimo, non solo aveva aperto l’Enciclopedia Italiana anche a collaboratori non fascisti (il che è un bell’esempio di spirito “democratico”, no?), ma, in seguito, non aveva mai ceduto agli incanti delle sirene razziste.
Tanto è vero che, nel 1939, quando tanti intellettuali facevano la fila per essere accreditati come antisemiti ( tra gli altri, Guido Piovene e Giorgio Bocca), aiutò un suo allievo “normalista”, lo storico della filosofia Paul Oskar Kristeller, ebreo-tedesco, ad espatriare negli Stati Uniti. Perché parlando dei milioni di italiani, intellettuali in testa, che da un giorno all’altro si scoprirono fieri nemici degli ebrei (lo ha ricordato spesso, lo scrittore fascio-comunista Antonio Pennacchi), non si ricorda che un italiano d’eccezione, fascista duro e puro destinato a cadere nel 1944 sotto il piombo comunista, fu coerente con la sua immagine della libertà e della dignità a trecentosessanta gradi, proteggendo un ebreo (che mai dimenticò il suo Maestro)? E perché non si ha ancora il coraggio, fermo restando che non ci piove sul fatto che questa repubblica nasce dalla lotta antifascista e dalla Resistenza, di storicizzare il Ventennio? Oddìo, i migliori storici, a partire dal De Felice, lo han fatto, ma i migliori politici, ci hanno provato? Hanno mai provato a raccontare il Fascismo per quello che fu?
Certo, quando si parla di bonifica delle Paludi Pontine, anche il più fanatico fan della Boldrini, riconosce che qualcosa di buono il truce Duce fece; e pare anche che la mafia abbia provato a combatterla, che abbia varato una politica sociale di tutto rispetto, che anche nel campo della cultura possa rivendicare non pochi meriti (Enciclopedia, Accademia d’Italia ecc.), che abbia mobilitato centinaia di intellettuali attraverso riviste, organizzazioni di partito, manifestazioni pubbliche ecc., che si sia sforzato di proporre nuovi linguaggi artistici: sono fascisti Sgarbi e Fuksas quando dicono che l’architettura del Ventennio non poi così schifo? E l’Eur, nel patrimonio nazionale, vale qualcosa o no?. E che, prima ancora di cercare per l’Italia proletaria un posto al sole in Etiopia, abbia trovato tanti posticini al sole per i figli dei contadini e degli operai, che per la prima volta, grazie alle cosiddette “colonie”, vedevano il mare. Di cose buone da raccontare, insomma, ce ne sono. E senza fare apologia. L’ha detto anche Matteo Salvini, in risposta a Mattarella.
E a proposito di apologia e di memoria, ci sia consentito di ricordare un paio di cose di prima mano. Noi, abbiamo conosciuto tre “apologeti”. Uno si chiamava Armando Saitta ed era uno storico comunista, docente all’ Università di Pisa. Un tipo fieramente antifascista, ovviamente, e dunque ci stupì tutti quando, in una sua lezione, disse che il più colto e più bravo organizzatore culturale nella storia d’Italia era stato un fascista e cioè Giuseppe Bottai. Secondo ricordino: Enzo Biagi e Sergio Zavoli che, anni 80, in occasione del Premio Volterra, a cena, raccontano che le più belle battaglie culturali le avevano ingaggiate sulle riviste fasciste. Quant’era bella giovinezza che si era fuggita tuttavia...