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 2018  gennaio 27 Sabato calendario

Il fascista Gentile ha salvato tanti ebrei

La sua “colpa” fu di essere un fascista, l’uomo di cultura di riferimento del regime, che non rinnegò mai. 
Ma il filosofo Giovanni Gentile, nonostante il marchio di infamia attribuitogli nel Dopoguerra, fu un Giusto: non solo non aderì mai al Manifesto della Razza, ma si attivò in modo alacre per salvare decine di intellettuali e prof ebrei, spendendo il suo prestigio e potere politico per risparmiare loro persecuzioni, epurazioni, allontanamenti coatti o assicurare degna sistemazione in altro Paese. La sua azione infaticabile si esplicò già all’ indomani dell’ascesa del nazismo e diventò intensissima nei giorni convulsi della promulgazione delle leggi razziali in Italia, quando decine di intellettuali si rivolsero a lui, spedendogli lettere, curricula o andando a trovarlo per ottenere, grazie alla sua intercessione, un salvacondotto. 
IN FUGA DAL NAZISMO 
Il suo sforzo trova nuova visibilità grazie all’imminente pubblicazione, in programma entro la fine di quest’anno, del carteggio inedito e integrale tra il filosofo e lo studioso del pensiero rinascimentale Paul Oskar Kristeller, ebreo tedesco che a Gentile dovette la possibilità di sfuggire al nazismo e poi di riparare in America dopo la deriva antisemita del fascismo. Della cura della corrispondenza una mole di 160 scritti, tra lettere e bigliettini, scambiati nel periodo tra 1934 e 1939 e consevati finora degli archivi delle Fondazione Gentile di Roma e della Columbia University di New Yorksi sta facendo carico il nipote di Gentile, Sebastiano, docente di Filologia della Letteratura italiana all’Università di Cassino, che ha affidato la pubblicazione ai tipi de Le Lettere. «Dal carteggio», ci dice, «risulta il ruolo decisivo di mio nonno nel garantire, già nel 1934, a Kristeller un ruolo di lettore di tedesco alla Normale di Pisa. Negli anni a seguire, quando nel nostro Paese fermentò il clima antisemita, Giovanni Gentile suggerì al collega tedesco di prendere la cittadinanza italiana, in modo da metterlo al riparo da eventuali espulsioni». Le cose tuttavia presero un’altra piega e nel 1938 a Kristeller venne comunicato l’obbligo di lasciare l’Italia. «Allora», continua il nipote, «Giovanni Gentile ne parlò direttamente con Mussolini, il quale sprezzantemente disse che poteva solo concedere 5.000 lire a Kristeller per il trasferimento all’estero. Ma Gentile non si arrese e assicurò al prof tedesco, oltre all’incolumità, la possibilità di ottenere da subito una cattedra a Yale». Ed è quasi commovente leggere la missiva che Kristeller scrisse a Gentile il 13 febbraio 1939 al momento di imbarcarsi da Palermo per gli Usa: «Nel momento di partire, posso assicurarLe che non mi pento affatto di essere venuto qua a suo tempo. Sono stati per me anni pieni di soddisfazioni tra le quali è forse la più grande quella di aver goduto la Sua stima e fiducia». 
Identica gratitudine esprimeranno a Gentile tutti gli altri intellettuali e prof ebrei che a lui si rivolsero per ottenere salvacondotti. Come quelli di cui parla Paolo Simoncelli, docente di Storia moderna all’Univesrsità La Sapienza di Roma, nel suo libro Non credo neanch’io alla razza (Le Lettere, pp. 238, euro 16,50), dedicato ai rapporti tra Gentile e i tanti esponenti della cultura ebraica per cui si prodigò, affinché avessero salva sia la vita che la libertà di insegnamento. Celebri, ad esempio, i casi del filosofo Rodolfo Mondolfo che, nell’ottenere grazie a Gentile la possibilità di andare a insegnare in Argentina, gli comunicò «i miei più sentiti ringraziamenti per tutto quanto hai fatto per aiutarmi nelle difficoltà attuali»; o del paleontologo Mario Pincherle, che, una volta a Lima, gli mandò gli auguri «con animo sempre grato e memore». 
AMICI MIEI 
Né si possono dimenticare i nomi di accademici ebrei come Guido Castelnuovo Roberto Almagià, Federigo Enriques, tutti “graziati” per via dell’intercessione gentiliana, o di Arnaldo Momigliano e Guido Fubini, dei cui casi Gentile si fece carico. Senza trascurare il nome di Ugo Stille, futuro direttore del Corriere della Sera che, nel momento di partire per gli Stati Uniti, Gentile si premurò di raccomandare presso il suo amico Kristeller, già trasferitosi oltreoceano. 
Ma l’azione di Gentile non riguardò solo gli ebrei italiani, coinvolse anche ebrei tedeschi, come Richard Walzer, accolto in Italia già nel ’33, o il filosofo Karl Löwith, che Gentile prese con sé prima nell’Istituto italiano di Studi Germanici, e per il quale poi ottenne, tramite l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, un trasferimento in Giappone all’indomani delle leggi razziali. «E non va dimenticato», ci fa notare Simoncelli, «che Gentile aveva iniziato a difendere i suoi colleghi ebrei già in tempi non sospetti, coinvolgendoli dalla fine degli anni ’20 nel progetto dell’ Enciclopedia Treccani e affidando loro la redazione di voci sensibili quali “ebrei” o “psicanalisi”, come dimostrano i contributi degli ebrei Giorgio Levi Della Vida ed Edoardo Weiss». Non solo: «Gentile», continua Simoncelli, «perorò la causa antirazzista anche pubblicamente dopo le leggi razziali, esponendosi in incontri con le autorità vaticane e in interventi sui giornali, fino all’espressione pronunciata in un incontro col Duce “Non credo neanch’io alla razza”». 
E Gentile, alla superiorità della razza ariana e all’esistenza delle razze, non ci credeva davvero. E pertanto si oppose strenuamente alle politiche antisemite del regime. “Lo fece per una serie di ragioni”, avverte Simoncelli. “Innanzitutto per una motivazione filosofica: l’idealismo di Gentile era anti-naturalista e anti-razzista. Per lui non era la nazione a fondare lo Stato, ma lo Stato a fondare la nazione. In secondo luogo, pesava una motivazione scientifica: Gentile era disposto a difendere la civiltà intellettuale e la libertà di ricerca a ogni costo. Da ultimo contava il suo senso profondissimo di umanità». 
SENSO DI CIVILTÁ 
Così il filosofo Gentile può ben vantare oggi il titolo di Perlasca degli Intellettuali. «Meriterebbe un posto tra i Giusti delle Nazioni», convengono Sebastiano Gentile e Simoncelli. Ricorda quest’ultimo: «qualche anno fa Gemma Rosa Levi Donati, la figlia di un altro prof ebreo aiutato da Gentile, chiese di assegnare al grande filosofo italiano questo riconoscimento». Con buona pace di San Paolo, il più grande amico degli Ebrei fu un Gentile.