Il Messaggero, 29 gennaio 2018
«Dopo Boris tocca a Romeo e Giulietta». Intervista a Alessandro Saba
Grey’s Anatomy, Homeland, The Big Bang Theory, The Walking Dead, il recentissimo The Assassination of Gianni Versace. Il gruppo Fox è conosciuto soprattutto per le serie tv: innovative, discusse, seguitissime. Ed è stato così anche per Boris, la serie italiana di Fox in onda dal 2007 al 2010, che raccontava le avventure sgangherate di una troupe televisiva alle prese con una fiction, diventata un culto. Oggi Fox ci riprova, producendo una nuova comedy italiana. Bisserà il successo di Boris? A parlarne con Il Messaggero, in esclusiva, è Alessandro Saba, 42 anni, sposato, un figlio, vicepresident responsabile dei canali di intrattenimento, dell’area research e delle produzioni di Fox.
Saba ha studiato con Umberto Eco in un corso a numero chiuso all’Università di Bologna («Eco mise a punto un test particolare per la scrematura, con domande su Adorno e il nipote di Nonna Papera: eravamo in 2000, passammo in 140»), e per anni è stato un uomo Mediaset. Entrato nel Biscione nel 1998, tramite un concorso, ha lavorato con Costanzo e la De Filippi, ma la sua carriera è stata soprattutto legata al canale giovane, quell’Italia 1 che negli anni scorsi ha introdotto programmi nuovi come Camera Cafè e Le Iene, che Saba ha seguito direttamente prima come responsabile del prime time e poi, dal 2006, come capo dei contenuti dell’intera rete. E forse, proprio per via di questo suo passato legato a una emittente che doveva intercettare l’interesse del pubblico più giovane, Saba è uno che conserva tutto l’entusiasmo e la voglia di fare qualcosa di nuovo e divertente, che piaccia, che guardi avanti. È stato chiamato in Fox dall’ad Kathryn Fink nel maggio del 2016 con un preciso intento: prendersi dei rischi.
Prendersi dei rischi con una serie?
«Ha presente quel che Sky ha fatto con Romanzo Criminale? Con Gomorra? Ecco: attori sconosciuti, sceneggiatura forte, un taglio nuovo. Però niente drama: solo ironia. Boris è stato uno dei prodotti più belli degli ultimi dieci anni e su quell’anima comedy stiamo provando a sviluppare una nuova serie, con un nuovo gruppo di comici».
Ci stupisca.
«Abbiamo notato un video di alcuni giovani creativi, gli ZeroSix, vincitore nel 2016 del Roma Web Fest: raccontava la storia d’amore controversa di due rampolli di Roma Nord e Roma Sud, una rivisitazione di Romeo e Giulietta in salsa romana. Abbiamo investito su di loro».
L’idea non è troppo local?
«Insieme con Wildside, che produrrà la serie, abbiamo sviluppato la storia facendola uscire dal raccordo di Roma. E quindi, in una logica del tutto surreale, a complicare le cose intervengono gli insider della lobby milanese, decisa a trasformare la capitale in Romaland, un parco di divertimenti per i ricchi europei, e la nobiltà napoletana, che sogna di ricreare il Regno delle Due Sicilie e vorrebbe ridurre in schiavitù i romani per finire la Salerno-Reggio Calabria e fare il ponte sullo stretto. La serie si chiamerà Romolo + Giuly (come nel film di Baz Luhrman) la guerra mondiale italiana: 8 puntate di 30 minuti in onda a settembre».
Tutti attori sconosciuti?
«Il cast è ancora da fare, anzi apre proprio oggi: questo è un annuncio ufficiale. Ma abbiamo in mente camei grandiosi. Vorremmo persone che rappresentino le fazioni al cento per cento».
I nomi prego.
«Non abbiamo ancora nessuno di confermato. Ma le posso dire che, per esempio, un Carlo Verdone sarebbe perfetto per la romanità».
E magari un Jerry Calà per Milano?
«Magari. E un Paolo Sorrentino per la nobiltà napoletana. Tra l’altro Sorrentino già fece un cameo per Boris, quindi perché non bissare?».
Senta, ma chi glielo fa fare? Non andate già bene con le vostre serie?
«Senza dubbio sì. Ma è il compito di noi editori di pay tv farlo: la gente paga e ha il diritto di avere un prodotto creativo di qualità. Tony Miranz, che ha pensato la prima tv on demand, dice che nel giro di dieci anni le storie e i contenuti televisivi saranno creati dagli algoritmi: grazie all’incameramento dei big data, l’intelligenza artificiale scriverà quello che i consumatori vogliono. Amazon e Netflix sanno tutto di noi: sanno quando schiacciamo play, quando fermiamo una storia e quando la facciamo ripartire, capiscono se ci stufiamo, se ci piace».
Una specie di Grande Fratello?
«Di fatto, appena finisci una serie, te ne propongono una simile: guardi Narcos, e subito ti arriva El Chapo. Guardi Downton Abbey? Ti segnalano The Crown. Nel giro di qualche anno avranno un quadro completo. Omologare l’industria culturale sull’accumulo dei big data significherebbe dare dei contenuti standardizzati, si perderebbe lo scarto in avanti che l’industria culturale fa fare alla società. Noi invece abbiamo il compito di ribaltare il tavolo: se non fosse stato così, oggi non esisterebbe The Walking Dead, una serie famosissima sugli zombie. Chi l’avrebbe detto otto anni fa che sarebbe stato un successo tale?».
Ma ci sarà qualcosa di Netflix che le piace?
«Stranger Things: la porterei a occhi chiusi su Fox».
E della più tranquillizzante Rai? Cosa apprezza?
«Report è da sempre una delle mie cose preferite in tv. Quanto alla fiction, mi sembra che la Rai faccia cose belle e giuste per il suo pubblico. Mi sono piaciute molto la fiction del Commissario Schiavone, e La linea verticale che, guarda caso, ha come regista e autore Mattia Torre, che era già regista e autore del nostro Boris. Ecco perché bisogna investire sui giovani: per combattere l’algoritmo!».
Cos’altro ha fatto per combattere l’algoritmo?
«In Fox abbiamo creato Dance Dance Dance, uno spettacolo di ballo che sfrutta la realtà aumentata: è la prima volta in cui vedo piovere in uno studio senza che succedano disastri. E poi, modestamente, abbiamo creato il primo canale temporaneo al mondo dedicato a Grey’s Anatomy: abbiamo avuto gli ascolti migliori degli ultimi 5 anni. Shonda Rhimes, la più geniale autrice di serie tv, ha detto che era emozionata e orgogliosa. Per me, è una medaglia sul petto».
Altre medaglie che non scorderà?
«Tutti premi ottenuti con Invisibili, un programma che raccontava le storie dei clochard fatto con Marco Berry: abbiamo vinto il Telegatto, il Premio Ilaria Alpi, il premio Flaiano. E poi ricorderò per sempre l’anno in cui ho lavorato alla prima edizione di Saranno famosi con Maria De Filippi, la più brava di tutti noi. Lei ha una visione globale del prodotto e un istinto pazzeschi. Lavorarci assieme è stato un privilegio».
Quante ore passa al giorno a guardare la tv?
«Almeno tre. Ma io sono fortunato: qualsiasi cosa per me è lavoro, e ho sempre la scusa pronta. Anche quando guardo i cartoni animati con mio figlio».
Finita Romolo + Giuly, cosa le piacerebbe fare?
«Sogno una fiction comedy sulla politica italiana che racconti in modo ironico il governo, i partiti, la politica. E mi piacerebbe avere tre special guest: Beppe Grillo, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi che fanno loro stessi».
Praticamente la realtà.
«Non è impossibile. Forse il meno disponibile sarebbe Beppe Grillo: Matteo Renzi e Silvio Berlusconi sono abbastanza ironici e intelligenti per capire che sarebbe una bella mossa anche in fatto di comunicazione».
Peccato che le elezioni siano così vicine.
«Ma la politica italiana ha tempi lunghissimi. Apriamo il cast?».