la Repubblica, 29 gennaio 2018
La lunga fuga dagli ambulatori. Che fatica trovare medici di famiglia
Lo scricchiolio più preoccupante lo stanno sentendo in Lombardia. Dei 670 posti per medico di famiglia messi a bando, circa 400 sono rimasti liberi: nessuno vuole o può andare in quelle sedi, alcune delle quali non si trovano in sperdute valli alpine bensì a Milano, dove per 62 incarichi si sono presentati in 16. Ma il rumore sinistro che potrebbe anticipare un crollo si ascolta anche in altre regioni, specialmente del nord. Sono troppi i pensionamenti rispetto al numero di giovani che concludono il tirocinio per diventare il medico del territorio, quello che sta cinque giorni su sette in studio a visitare, consigliare, prescrivere visite ed esami e talvolta, non sempre, va pure a domicilio.
In un anno concludono il percorso triennale di studi, che si articola in varie scuole regionali, tra i 900 e i 1.000 medici “specializzati” per fare la medicina generale o quella d’urgenza. Secondo l’istituto previdenziale dei camici bianchi, l’Enpals, quest’anno i pensionati saranno più o meno lo stesso numero ma il prossimo il dato schizzerà a qualcosa come 2.700, quello dopo addirittura a 3.500 e poi ancora più su, fino a toccare il tetto dei 4mila per altri quattro anni. Solo dal 2025 la curva tornerà a scendere. In sei anni quindi lasceranno in tutto circa 21mila professioniti ( circa il 45% del totale) e se non si interviene sui posti nelle scuole, alla fine di quel periodo in Italia mancheranno qualcosa come 15mila medici di famiglia.
I dati Enpals sono elaborati dal sindacato Fimmg, quello con più iscritti tra i medici di famiglia. Le stime tra l’altro sono state fatte calcolando le uscite all’età massima pensionabile. In realtà molti hanno anticipato e infatti in Lombardia già nel 2017 ci si aspettavano appena 50 pensionamenti mentre in realtà sono stati 300, come spiega il dottor Fiorenzo Corti della Fimmg. Ecco perché ci sono già problemi. Ma anche altrove, ad esempio in Veneto, le cose stanno cambiando rapidamente.
Al nord arrivano meno medici del sud, che trovano lavoro facilmente nelle loro regioni, e quelli che già ci sono magari tornano vicino a casa e lasciano posti scoperti. La situazione veneta la illustra Domenico Crisarà, segretario del sindacato in quella regione: «Negli anni Novanta ci volevano anni dopo il tirocinio per trovare un posto. Io ce ne ho messi 13. Adesso a Padova città un incarico può restare scoperto 8 mesi perché mancano materialmente le persone. Da noi il sistema regge ancora ma tra poco si andrà molto male. Nel giro di pochi anni il Veneto avrà oltre un milione di cittadini su cinque senza medici di medicina generale».
I medici di famiglia possono avere al massimo di 1.500 pazienti, per ciascuno dei quali ricevono 60 euro dalla Asl. La media di assistiti varia ma è comunque più bassa, tra i 1.000 e i 1.200. Inizialmente quindi le carenze di professionisti verranno compensate aumentando il numero di persone seguite da chi ha ancora l’ambulatorio aperto. Tra l’altro la nuova convenzione che regola il lavoro di questi dottori potrebbe prevedere di alzare il “massimale” a 2.000. Ma con la massa di pensionamenti in arrivo non basterà. Intanto si perderà la presenza capillare sul territorio, perché meno medici vuol dire meno studi aperti. Poi ci saranno problemi ad assicurare l’assistenza a tutti, come rivela l’esempio del Veneto.
«Bisogna aumentare subito il numero delle borse di studio, devono almeno raddoppiare – dice Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimmg – In questo periodo le regioni fanno i bandi e chiediamo che tengano conto dell’emergenza. Poi va velocizzato l’accesso: oggi quando un giovane finisce il corso aspetta almeno due anni per entrare, anche se il posto c’è, per via dei passaggi burocratici. E comunque tutto questo non basterebbe. Così abbiamo chiesto di aumentare il massimale. Ma solo per colleghi che siano disposti a creare una loro mini équipe con infermiere e collaboratore di studio». Altrimenti 2.000 pazienti sarebbero troppi.