Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  gennaio 29 Lunedì calendario

Addio a Tripoli, ora partono anche le famiglie della classe media

Roma. Aidha si è portata dietro tutti i documenti possibili, persino il libretto scolastico dei due figli. «Ho un bambino di 10 anni e una ragazzina di 12, ormai negli ultimi tempi andavano a scuola a singhiozzo, lezioni un giorno sì e un giorno no, insegnanti che scomparivano. I ragazzi così si perdono…». Omar, suo marito, custodisce gelosamente i passaporti di tutta la famiglia, e li esibisce rapidamente al controllo di polizia al porto di Augusta. La loro è una partenza preparata accuratamente nel tempo, meditata già da qualche anno, decisa definitivamente poche settimane fa quando, con l’acuirsi degli scontri militari da una parte all’altra del Paese, hanno capito che rimanere in Libia era ormai troppo pericoloso.
In un solo giorno sono arrivati in 92, tutti nuclei familiari con bambini, tutti libici. Una novità assoluta per i flussi migratori verso l’Italia, che ha fatto improvvisamente schizzare la Libia al quarto posto in una “classifica” in cui non erano mai entrati, quella delle nazionalità più frequenti tra le persone che tentano la traversata nel Mediterraneo: ben 192 libici nel mese di gennaio, più dei nigeriani, più dei sudanesi, più degli ivoriani. Quasi tutti di classi sociali medie, con un po’ di soldi addosso, molti alti trasferiti online su conti stranieri e un’idea abbastanza chiara su dove andare una volta arrivati in Italia. E però anche loro sui gommoni dei trafficanti, come quei “neri neri” che i libici tanto disprezzano.
Traversate ugualmente rischiose ma ad un prezzo più alto e gommoni forse un po’ meno fatiscenti tutti per loro. Su quello intercettato qualche giorno fa da una nave militare spagnola viaggiavano in novantadue: tutte famiglie con bambini, tutti in fuga dalla zona di Tripoli, Gars Garabulli e Zuwarah, quelle in cui impazzano le milizie.
Qualcuno ha venduto tutto, è salita su quel gommone girando le spalle al suo paese con l’intenzione di non tornarvi più e di ricominciare da un’altra parte in Europa, non in Italia comunque. Qualcun altro, invece, ha messo al sicuro quello che aveva, ha portato con sé quello che poteva e ha sbarrato casa sperando di tornarci in tempi migliori.
La storia di Omar e Aidha è la più particolare. Cinquant’anni lui, 49 lei, due bambini. Famiglia benestante finita nella lista nera per i trascorsi di lui che – dice – «lavorava nella security del regime fino alla caduta di Gheddafi». Ad andar via dalla Libia ci pensano da cinque anni ma, fino a quando hanno potuto, hanno resistito. «Ormai il rischio era troppo alto, sei costretto a non uscire mai dal tuo paese e dalla tua zona di sicurezza. Ma io ho due bambini, una moglie, il rischio di rapimenti appena cammini per strada è altissimo. Le milizie stanno prendendo piede in zone sempre più ampie e la gente è indifesa. Per non parlare dell’educazione e della sanità. Lo sapete in che condizioni sono i nostri ospedali? Se ti ricoverano non hanno i farmaci per curarti e se devi subire un intervento devi procurare tu gli strumenti e persino l’ago per le suture».
Omar il viaggio se l’è organizzato da solo. Con un’altra famiglia con un altro bambino, ha comprato una barca in legno ed è partito da Zuwarah, al timone lui che conosce il mare. «Io raggiungerò mio fratello in Inghilterra, ma in Libia voglio tornare». Hisham e Farida invece hanno venduto tutto quello che avevano a cominciare dalla casa. «Mai più in Libia».
Un flusso, quello delle famiglie libiche, che potrebbe essere solo all’inizio. «In Libia – dice Marco Rotunno dell’Unhcr – ci sono più di 500mila sfollati interni da noi ritenuti vulnerabili. Fino ad ora ne sono partiti pochi, ma non sappiamo cosa potrebbe avvenire».