la Repubblica, 29 gennaio 2018
Sbarchi e stragi di migranti, il caos libico riapre le rotte
Roma Il bambino è seminudo, gelido, non respira, ma il polso batte flebile. Avrà sì e no quattro anni. La catena umana a bordo della Aquarius tira fuori dall’acqua, uno dietro l’altro, una decina di bambini. I medici del team di Msf sono tutti impegnati e quel bimbo finisce tra le braccia di Lauren King. Lei è la coordinatrice della comunicazione a bordo, non è medico, ma non c’è tempo, tocca a lei. Trentacinque infiniti minuti di respirazione bocca a bocca per salvare quella vita. Al telefono, dalla nave, parla con la voce ancora spezzata dall’emozione: «È stata una cosa terribile, non lo avevo mai fatto prima, la vita di quel bambino affidata a me, era incosciente, non respirava. Gli ho buttato dentro tutto il fiato che avevo, spingevo sul suo petto… e poi ha aperto gli occhi, ha ripreso a respirare».
Era pieno di bambini, alcuni dei quali neonati, quel gommone sul quale i trafficanti libici avevano ficcato 120 persone. E così, quando ha cominciato a sgonfiarsi e ad affondare, le mani di tante giovani mamme si sono tese verso il cielo provando a tenere su i loro piccoli. Quando la Aquarius di Sos Mediterranée è arrivata, in acqua c’erano decine di persone, molti ormai in stato di incoscienza, i polmoni pieni di acqua. Ma almeno una trentina, stando al racconto degli 83 superstiti, sono i dispersi. Due donne, entrambe giovanissime mamme, sono morte a bordo. Viaggiavano da sole con i loro bambini adesso rimasti orfani. Il più piccolo, sei mesi, è diventata la mascotte della Aquarius, altri sei bambini sono stati portati d’urgenza da un elicottero della marina italiana nell’ospedale più vicino, a Sfax, dove ieri mattina è spirata un’altra giovane donna. Una morte che porta a tre le vittime accertate di questo naufragio.
Almeno 230 morti in mare, 3.579 migranti sbarcati nel 2018, compresi gli 850 salvati nella tragica giornata di sabato in cinque diverse operazioni. E gennaio non è ancora finito. Numeri, alla data di ieri, persino di poco superiori a quelli degli anni peggiori per l’emergenza immigrazione, il 2016 e il 2017, numeri che allertano il Viminale sia per la ripresa dei flussi dalla Libia ( che avevano segnato un nettissimo arresto nella seconda metà dello scorso anno) sia per le tante vittime delle traversate causate, oltre che dalle pessime condizioni delle imbarcazioni utilizzate, anche dall’assottigliarsi dello schieramento dei soccorsi nel Mediterraneo che non riesce a coprire le 300 miglia di zona Sar e ad arrivare sempre tempestivamente. I sanguinosi scontri in Libia, nelle zone di Zuwarah e di Gars Garabulli ( proprio quelle da cui partono più gommoni), e l’assalto armato all’aeroporto di Tripoli dei giorni scorsi, preoccupano il ministero dell’Interno perché accentuano l’instabilità del governo garante degli accordi con l’Italia e potrebbero creare le condizioni per una ripresa dei flussi in un Paese dove, tra centri di detenzione ufficiali e carceri in mano ai trafficanti, si stimano tra 700.000 e un milione di persone pronte a partire.
«Il tragico salvataggio di sabato – dice Valeria Calandra, presidente di Sos Mediterranée Italia – dimostra che l’emergenza continua e c’è urgente bisogno di più mezzi di soccorso nel Mediterraneo. Noi proseguiamo nella nostra missione ma rinnoviamo il nostro appello all’Europa a mettere in atto azioni concrete per porre fine a queste tragedie».
Sabato, nella zona interessata dalle traversate, mentre la sala operativa della Guardia costiera di Roma, riceveva una segnalazione dietro l’altra e cercava mezzi di soccorso, c’erano le tre sole navi delle Ong che continuano nei soccorsi, una nave militare spagnola e una motovedetta della Guardia costiera libica, protagonista dell’ennesimo “incidente” con una nave umanitaria, proprio la Aquarius. «Avevamo appena avvistato un gommone con un centinaio di persone a bordo, potevamo vedere i volti spaventati delle persone e sentirle gridare e chiedere aiuto – denuncia Klaus Merkle, coordinatore dei soccorsi di Sos Mediterranée – ma la Guardia costiera libica ci ha ordinato brutalmente di lasciare la zona e ha categoricamente rifiutato qualsiasi offerta di assistenza».