la Repubblica, 28 gennaio 2018
L’amaca
Leggendo la storia della senatrice a vita Liliana Segre ho scoperto (ed è stato un colpo al cuore) che la scuola elementare di Milano dalla quale è stata cacciata, perché ebrea, è la stessa che ho frequentato dal ’59 al ’64, la Fratelli Ruffini, di fianco al Cenacolo di Leonardo.
Che Liliana abitava in corso Magenta 55, e da quel portone è stata deportata: di fronte a dove ho abitato con la mia famiglia dal 1959 al 1976. Mi sono domandato se nella mia infanzia e giovinezza milanese c’è mai stata traccia, testimonianza, segno visibile di quella mostruosa cancellazione di esseri umani, avvenuta meno di vent’anni prima.
La risposta è no: non ce n’era traccia, non alla scuola Ruffini, non nel quartiere, non nei discorsi degli adulti.
Non ricordo con precisione quando ho saputo della Shoah. Ma certamente parecchi anni più tardi; forse al liceo; e soprattutto quando, per mia emancipazione politica e per i libri letti, ho avuto modo, alla fine degli anni Sessanta, di chiedermi com’era il mondo. Dico questo per dare una buona notizia. L’Italia nella quale sono cresciuto, la Milano nella quale sono cresciuto, nonostante fossero ancora visibili le macerie della guerra, avevano ben poca memoria di se stesse.
Solamente oggi, nel 2018, posso passare davanti al 55 di corso Magenta sapendo chi ci abitava, chi ne è uscito per non tornare più. Siamo meglio adesso. Eravamo peggio prima.