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 2018  gennaio 27 Sabato calendario

Un secolo di Achille che fece la rivoluzione con un interruttore

Anche Achille Castiglioni ha fatto il suo ’ 68. Cinquant’anni fa, il designer che aveva già conquistato il mondo con la lampada Arco unì due semigusci di plastica, ci fece scorrere dentro un filo elettrico e diede all’uomo il diritto, seguendo quel filo al buio, di trovare il pulsante dell’abat- jour senza brancolare.
La storia di Castiglioni – e dunque del design italiano – è anche quella di un’intuizione semplice e geniale come il rompitratta, l’interruttore che Achille progettò – senza mai firmarlo – con il fratello Pier Giacomo per la piccola azienda milanese Vlm e venduto da allora in un numero incalcolabile di esemplari, quanti mai se ne potrebbero contare mettendo insieme le lampade Arco, Taccia e tutte le altre icone del made in Italy finite nei salotti e nei tinelli del pianeta. «Quell’interruttore era l’orgoglio di mio padre» dice Giovanna Castiglioni. «Il pezzo che di notte, in albergo, gli faceva dire: “L’ho sentito, è il mio clic!”», ricorda il filosofo del design Virginio Briatore.
Il 16 febbraio il Cicci avrebbe compiuto cent’anni. Per celebrare il secolo di Achille, la Fondazione che porta il suo nome, guidata da Giovanna e dal fratello Carlo, ha chiamato a raccolta dal 19 febbraio nell’ex studio milanese di Piazza Castello cento designer da tutto il mondo e chiesto a loro di raccontare ognuno il suo Castiglioni con un pezzo di design anonimo, di quelli che Achile amava collezionare, e un biglietto d’auguri. La mostra 100x100 Achille, a cura di Chiara Alessi e Domitilla Dardi, sarà innanzitutto una grande festa come sarebbe piaciuta al designer, ma anche un modo per riscoprire l’attualità del progettista. Come accendere tutti insieme la luce switchando su un simbolico rompitratta. Martino Gamper ha puntato su un taglierino, Barber & Osgerby su uno spremiagrumi. Philip Starck ha scelto una graffetta e Jasper Morrison una graffettatrice. Piero Lissoni regalerà un paio di forbici da bonsai, Giulio Iacchetti un acciarino. Creativi di attitudini, età ed estrazioni diverse, se non opposte, testimonieranno a modo loro quanto il design sia andato avanti dopo Achille. O se, invece, è rimasto dove il Cicci l’ha lasciato, nel 2002.
«Quello di Castiglioni era un vero design del progetto», dice Virginio Briatore. «Achille, come i suoi fratelli Livio e Pier Giacomo e gli altri grandi maestri dell’epoca, era prima di tutto un architetto che sapeva benissimo, per dire, quanto si può piegare un pezzo di metallo o il peso che può reggere il legno. È entrato nelle case della borghesia internazionale con le sue lampade costose, ma ha anche portato il design d’autore dall’elettricista. Il suo genio rivive ovunque l’invenzione è necessaria per sopravvivere come lo era da noi nel Dopoguerra, in paesi e campagne dove chi non può permettersi un oggetto s’ingegna e lo costruisce da sé». Ferruccio Laviani, ex allievo di Castiglioni che col maestro firmò nel 1999 la poltrona 40/80 per Moroso, si presenterà alla festa con un tagliere nel ricordo delle pause di lavoro in studio tra whisky, sigarette e affettati. «Quella stagione d’oro è stata il frutto dei colpi di testa di Achille e di una curiosità infinita, ma anche di aziende illuminate, disposte a mettere in produzione i suoi progetti. Una stagione in cui poteva capitare che lo stelo di una canna da pesca e un fanale d’automobile diventassero, assemblati, il pezzo di un’azienda glamour come Flos, senza che il risultato, la lampada Tolo, apparisse come un birignao. Oggi questo si chiama ready- made, e spesso è più una provocazione o un gesto d’artista. Invece la forza di Achille era portare l’industria a sdoganare la sua genialità e farne oggetti per tutti i giorni».
Lontanissimo è il mondo di Laviani da quello di Formafantasma, al secolo Andrea Trimarchi e Simone Farresin, quotatissimo brand del momento di stanza in Olanda, celebrati dagli esperti mondiali per il loro approccio critico e concettuale. E però ci saranno anche loro, con una scopa di saggina, a celebrare Achille. «Il nostro tempo è l’opposto dal suo: Castiglioni era figlio di un’epoca in cui designer e aziende correvano per ricostruire tutto. Noi abbiamo l’esigenza opposta di rallentare, di produrre con un occhio all’ambiente sapendo che qualsiasi prodotto ha un impatto e va smaltito. Eppure, di Castiglioni condividiamo moltissimo. A noi come a lui non interessa, per dire, la preziosità dei materiali: se per la Arco pensò a una base in marmo, è perché doveva reggere il peso della lampada. E poi neanche lui come noi amava gli esercizi di stili. Abbiamo scelto la scopa perché è un oggetto universale e naturale: dura nel tempo ed è utile. A lui sarebbe piaciuta».