la Repubblica, 27 gennaio 2018
David Byrne e la felicità. «Raccolgo solo cose belle»
MILANO Prendere Gramsci e – consapevolmente o no – capovolgerlo: il motto di David Byrne è diventato il pessimismo della volontà e l’ottimismo della ragione. Così l’ex leader dei Talking Heads ha spiegato il progetto culturale Reasons to be cheerful (Motivi per essere felici) e il disco American utopia, che il 9 marzo metterà fine a un silenzio che da solista dura da 14 anni (nel frattempo non è stato con le mani in mano, basti dire della collaborazione con Paolo Sorrentino per le musiche del film This must be the place).
Due lavori cresciuti separatamente, ma con le stesse intenzioni e origini: «Un giorno mi sono scocciato di arrabbiarmi e deprimermi appena sveglio, leggendo solo notizie terribili. Così ho provato una terapia in prima persona: cercare le tantissime cose belle che succedono nel mondo e di cui non sappiamo nulla. Ho scoperto che sono molte più di quanto si creda e ho iniziato a raccoglierle».
Quasi un proprio giornale alternativo (a proposito, il 65enne cantante ha precisato che non si documenta sui social, «anzi, neppure li ho e consiglio a tutti di non esserci, io recupero le notizie da chi le verifica ancora». Traduzione, i giornali). Ma questa sfilza di motivi per cui continuare a sperare ripropone un vecchio dilemma dell’informazione: una pubblicazione di sole buone notizie potrebbe funzionare o annoierebbe?
La risposta al dilemma che ieri Byrne ha provato a dare alla fondazione Prada forse mescola entrambe le cose.
Reasons to be cheerful è infatti una lunga sequenza di progetti partiti dal basso, funzionanti e ripoducibili ovunque che stanno cambiando in meglio il presente e quindi il futuro.
Dal bike sharing alle energie rinnovabili che alimentano le città («nel 2030 Malmoe, in Svezia, userà solo quelle») dall’aumento dell’impegno politico e sociale agli splendidi asili di Reggio Emilia, dagli investimenti in luoghi di cultura che fanno calare criminalità e obesità alla legalizzazione delle droghe in Portogallo con cui sono crollati i morti di overdose. Tutte ragioni per non pensare più che il pianeta stia andando a rotoli. Ma forse troppe, e inevitabilmente trattate a volo d’uccello. Così alla fin fine la chiacchierata in pubblico sembra più una conferenza noiosina. Anche se poi Byrne ride e scherza nella parte di domande dei presenti e spiega come tutto questo abbia influito su American utopia: «Il disco è iniziato nello stesso periodo di questa raccolta di notizie. E mentre lo finivo ho capito che pone domande, dubbi, interrogativi su cosa vogliamo essere. E che Reasons to be cheerful forse dà le risposte: eccome possiamo essere». Del disco al momento si conosce poco, ma quel poco è oltremodo incoraggiante.
Anzitutto segna un nuovo capitolo della collaborazione con quel genio di Brian Eno, che già aveva lavorato con Byrne sia nel periodo Talking heads ( More songs about buildings and food, Fear of music, Remain in light), sia poi da solista ( My life in the bush of ghosts). Secondo, l’unica nuova canzone che già è in circolazione, Everybody’s coming to my house, sembra segnare un felice ritorno verso il sound della band che fu, piena com’è di fiati, percussioni e di spirito pop.
Terzo, aspettiamoci un tour, che toccherà anche l’Italia: il 19 luglio a Ravenna, il 20 luglio a Perugia per Umbria Jazz, il 21 luglio a Trieste. Però, deludendo il pubblico in sala, composto essenzialmente di fan (l’incontro era alle 19, c’era gente in coda già dalle 15), niente Milano: «Mi hanno detto che in estate non ci resta più nessuno, vanno tutti in vacanza al mare o in montagna», e l’idea è che non fosse solo una battuta. Di sicuro saranno spettacoli particolari: «Ormai va di moda farne senza una band dal vivo, solo con le basi. Io non sono il tipo, e anzi – visto che ormai i soldi ci arrivano solo da lì – penso che nei concerti dovremo migliorare sempre più. Ma senza effetti speciali o trovate sceniche, solo con la bravura e lo scambio umano di emozioni e musiche».