la Repubblica, 27 gennaio 2018
Gina Lollobrigida: «Tutti i miei uomini da Welles a Bogart. Ceffoni compresi»
ROMA Gina e Hollywood.
Sessant’anni dopo aver messo piede in America per la prima volta l’icona Lollobrigida torna per ricevere la stella della Walk of fame: il primo febbraio, nell’ambito di Filming on Italy a Los Angeles. La voce all’inizio è sofferente, ma nel corso della conversazione diventa vivace. «Preferisco parlare al telefono. Non sto troppo bene.
Mi piace il latte, ma mi ha fatto male allo stomaco. Ma senza non vivo...
Per fortuna che sono in casa… È che poi devo partire per Hollywood e devo vedere degli avvocati, tanto per cambiare… Qui c’è il mio assistente Andrea che mi dà una mano. E un po’ è anche l’emozione, tutto questo affetto che mi riserva Hollywood dopo tutti questi anni...». E inizia a piangere.
Cosa ricorda dell’arrivo negli Stati Uniti?
«L’accoglienza da star, anche se ero a inizio carriera. Il cinema degli anni Cinquanta era una forza incredibile. Dopo il primo film ero così famosa che cambiarono i cartelloni di Fanfan la Tulipe sugli Champs Élysées: al posto di Gerard Philippe la mia faccia. Ho iniziato a fare il cinema per le mille lire al giorno, per aiutare la famiglia».
L’America l’ha conosciuta con lo sbarco degli alleati.
«Sì. Avevano bombardato la nostra casa. Partimmo da Subiaco per Firenze, ma c’era la ritirata tedesca.
Lungo la strada ricordo un ponte esplodere mentre lo disegnavo.
Dormimmo in una cantina, io e le mie tre sorelle in una botte, i genitori nell’altra. Al risveglio erano arrivati gli americani a Todi.
Gli altri, felici, erano andati a salutare, io volevo solo un bagno».
In America andò per girare “Sacro e profano” con Sinatra.
«A chiamarmi fu Howard Hughes.
Aveva visto le mie foto. Mandò solo un biglietto aereo, mio marito non venne. A Hollywood vedevo Hughes tutti i giorni».
Era ossessionato da lei?
«Mi ha fatto la corte per 12 anni. Non ero cosciente di essere attratta anch’io da lui, me ne accorsi in Italia, ma mio marito mi tenne ben stretta. Sette anni dopo, a Los Angeles, trovai Hugh malato. Non vedeva nessuno. Time mi chiese di fotografarlo, ma scrissero qualcosa di scortese su di lui e io quell’impegno non lo rispettai».
La sua era una bellezza difficile da nascondere. Ha imparato a difendersi presto.
«Sono sempre stata scarsa di complimenti, mi sono quasi sempre difesa da sola».
Qualche ceffone mollato?
«A un collega sul set di Notre dame de Paris dopo una scena di bacio in cui era andato oltre».
Orson Welles fece un documentario su di lei.
«Non sapeva resistere alla mia vicinanza, era imbarazzante. Non potevo dargli un ceffone e così mi chiusi in bagno. Iniziò a piangere allora uscii, e disse “perdonami”».
Ha pagato per i no che ha detto? Ha subito molestie?
«Ci sono state occasioni in cui le cose sono andate oltre. È stata così la mia prima volta. Ma sono ricordi troppo dolorosi, preferii non parlare, neanche ora. Ma sono felice che oggi le donne abbiano il coraggio di farlo».
Humphrey Bogart diceva che rispetto a lei Marilyn Monroe era Shirley Temple.
«Mi adorava. Con Truman Capote e John Huston facevano tardi la sera a ridere e bere. Il tesoro dell’Africa fu film formidabile. Il produttore Selznick quando mi vide cercò di licenziarmi: temeva che oscurassi la bellezza della moglie Jennifer Jones. Ma Huston tenne il punto».
È stata amica di Marilyn.
«Era timida, sensibile. Ricordo una festa in cui l’accompagnatore la lasciò. Tutti gli uomini presenti avrebbero voluto scortarla, ma lei volle andarsene da sola. Era piena di dignità, meravigliosa, ma non aveva la mia forza di reagire, era debole».
E Sean Connery?
«Un gentleman. All’epoca di La donna di paglia io sceglievo regista e attori per contratto. Per suggerirmi Sean, che aveva fatto il primo Bond ma non conoscevo, mi dissero “è un uomo!”. Quando Sean diede un party a Londra a fine carriera scelse una bond girl, ha voluto me. Un grazie importante me lo ha detto».
E Rock Hudson?
«L’adoravo e lui adorava me. Ma era un momento di cambiamento nella sua vita. Il produttore, che aveva paura che venisse fuori qualcosa, per proteggerlo lo fece sposare con la segretaria. Se avesse fatto un passo in più io non gli avrei detto di no. E Liz Taylor neanche».
A un certo punto si ipotizzò di una sua storia con Nixon.
«Scrissero che era il mio amante, roba da matti. È che Hughes mi riservava la suite presidenziale al Waldorf Tower di Hollywood.
Una volta arrivò Nixon e io mi spostai all’appartamento di fianco».
Di politici italiani chi le piace?
«Berlusconi, quando parla ne sa molto più degli altri. So che non dovrei dirlo ma a me è simpatico, punto».
Al festival di Berlino del 1986 si battè per “La messa è finita” di Nanni Moretti.
«Sì. Ero presidente di giuria e mi volevano imporre un altro film.
Feci un macello, misi agli atti che mi dissociavo. Il fratello di Coppola mi ricorse “accomodiamo tutto”. Riuscimmo a fargli avere un premio».
Lei di premi ne ha avuti moltissimi. E ora la stella.
«Sì. Torno dopo sessant’anni e mi sembra ieri».
Una vita avventurosa, la sua.
Il suo rapporto con la morte?
«Ho paura, ma non sono negativa.
Amo la vita fino in fondo e voglio viverla malgrado cose talmente brutte che pensi “meglio che mi ammazzo”. Non potrei, sono molto religiosa».
Sta scrivendo la sua biografia?
«Avevo iniziato con Paolo Limiti...
La farò, ma con calma. Ora c’è Hollywood, mi sto cucendo il vestito. Non sarà proprio da mattina, di seta giapponese azzurro e oro. Il pubblico mi vuole così, elegante, perché togliergli la gioia?»
A chi penserà sulla Walk of fame?
«Al pubblico che mi ha messo sul piedistallo e che ancora si ricorda di me. Mi chiamano da tutto il mondo. Anche se purtroppo la ditta mi ha cambiato il numero di telefono. “Gliene diamo un altro”. Ah, e come mi trovano gli ammiratori? Se sentono numero sconosciuto pensano che sono morta... chiamano anche di notte.
Ma quelle sono telefonate di disturbo. Ci sono troppe cose brutte che mi accompagneranno purtroppo per tutta la vita.
Una persona che non ci sta più con la testa».
Si riferisce a suo figlio?
«Sì. E pensi che invece io, a novant’anni, ci sto benissimo. Ho preso dalla mia zietta che se ne è andata a 112 anni, fresca come una rosa».