la Repubblica, 27 gennaio 2018
Nel fortino a lutto degli Spada la mafia di Ostia senza più un re
ROMA È al buio quel pezzo di città dove gli Spada erano padroni e tutti gli altri schiavi. In segno di lutto le finestre delle case sono chiuse, le tapparelle abbassate, palazzi che sembrano disabitati, abbandonati.
Sventola la bandiera bianca sull’Ostia mafiosa dei “Romoletto” e dei “Maciste” che sino a ieri l’altro facevano paura a tutti. Mezzogiorno di cielo cupo e di mare luccicante con un raggio di sole che buca i nuvoloni e risplende per un attimo anche piazza Gasparri, il cuore nero di questo grande quartiere romano che è piazza di spaccio e mercato di commerci illegali, che è la casa di una tribù criminale lasciata per troppo tempo libera di “mafiare” e di torturare una comunità, di spremere commercianti, di barattare voti, di decidere su chi doveva abitare e su chi non doveva abitare negli alloggi popolari lì dietro. Casermoni color mattone, silenzio, cani randagi che si rincorrono, nessuno per le strade, un deserto.
Siamo nel quadrilatero che era il regno di Carmine e Ottavio Spada, di Roberto e Massimiliano Spada e di Enrico Spada, siamo qui il giorno dopo la retata poliziesca che li ha portati tutti in carcere.
Territorio “liberato” e territorio terrorizzato. «Chissà cosa accadrà adesso, con loro era tutto tranquillo, tutto sotto controllo, cosa succederà domani? Chi prenderà il loro posto? Sarà meglio o sarà peggio?», si lascia sfuggire la donna che sta dietro il bancone di un panificio, “Il forno di Ostia”, l’unica bottega aperta in una desolata Ostia in fondo ad Ostia. Chiuso il bar Music di via Franco Storelli, il postaccio dove a novembre “Robertino” ha preso a testate il giornalista.
Chiusa la palestra “Femus Boxe” di via Antonio Forni. Chiuso tutto. Il lavaggio, la tabaccheria, chiuse le botteghe su via Baffigo. Tutto chiuso per mafia. Dov’è la palazzina di Robertino e degli altri suoi cugini e zii e cognati e compari? Dov’è la casa con il trono dorato e damascato in mezzo a questo inferno urbano dove ogni strada è uguale all’altra e ogni strada sembra più brutta di quella prima? È in via Guido Vincon, il civico è il 27.
Non è difficile trovare il quartiere generale degli Spada.
Spuntano dalle inferriate le gambe dei cavalli di gesso che sembrano scalpitare, le anfore romane, gli angeli di terracotta, i fiori finti, un cancello che sembra una barriera antisfondamento. E un citofono con tanti nomi: Spada Enrico, Spada Rosario Casamonica, Spada Cerasella, Spada Roberto-Ascani Elisabetta.
È la moglie di “Robertino”, Elisabetta. Suoniamo al campanello. Risponde lei: «Non mi interessa parlare con voi, non mi interessa». Ma non vuole dire proprio niente? «Niente». Chissà se c’è ancora quel trono nel salotto. Chissà se ci sono ancora sul comò finto veneziano le foto di “Robertino” con i sottotitoli che dicono a tutto il suo mondo “Se te piscio ‘nculo te faccio er pieno” o “2017 chi te s’encula”.
Chissà che cosa c’è oggi lì dentro, la casa di via Guido Vincon numero 27, dopo che gli uomini della tribù sono rotolati nella polvere, hanno perduto e probabilmente per sempre il loro potere. Ancora via Cagni, via Ingrao, viale del Sommergibile.
Dove sono gli Spada che terrorizzavano appena apparivano con i loro cappucci calati sulla testa e con i loro tatuaggi sulle braccia? Dove sono i loro complici? «Sono dietro quelle finestre che tengono chiuse per rispetto come avevano fatto tutte le altre volte quando qualcuno di loro era stato arrestato», sussurra un commerciante di questa Ostia che oggi ha ritrovato un po’ di libertà. Nel quadrilatero infame degli Spada avevano fatto la serrata delle finestre il giorno dell’arresto di “Robertino”, l’avevano fatta quando erano stati presi Ottavio e Massimiliano, l’avevano fatta nel 2015 quando anche Carmine “Romoletto” Spada era finito in carcere.
Abbiamo girato per tre ore intorno a piazza Gasparri, abbiamo percorso ogni vietta che attraversa il quadrilatero, abbiamo fatto tante domande e ricevuto poche risposte. Facce da funerale qui nel fortino degli Spada, il giorno dopo. Facce bianche di rabbia e di paura per quello che ancora potrà avvenire nella città fantasma, dove ogni quindici minuti passa un’auto dei carabinieri che fa il giro.
Guardano, controllano, annotano. Quella che era la piazza di quelli è diventata la piazza di nessuno. Passa un ragazzo che dice di fare il muratore, forse lo è davvero muratore o forse no. Sibila: «Ci state rovinando, voi giornalisti e la polizia. Ogni mattina vado in cantiere all’alba e ogni mattina mi fermano, mi tengono fermo soltanto perché abito qui, che c’entra la mafia con gli Spada? La mafia è quella di Pippo Calò. Ad Ostia arrestano solo perché un pm decide così». Risentimenti.
Risentimenti e ancora paure.
Piazza Gasparri e gli Spada, il lungomuro, il mare che non si vede quasi mai, il pontile, l’altra Ostia che poi è sempre la stessa perché se non ci sono gli Spada ci sono i Fasciani, i bar eleganti, i proprietari che pagano il pizzo ma negano fortissimamente negano, poi – alla fine – un tratto di spiaggia libero che libero non è più. Ci sono tante altre storie che bisognerebbe raccontare sul gioco degli specchi di Ostia. Sulla solitudine di chi si è messo contro gli Spada, contro i funzionari del X Municipio, contro i neri amici di Carminati che avevano in mano i lidi. Non c’è solo piazza Gasparri. Non c’è solo “Robertino”. C’è qualcosa di più indicibile dietro quel lungo muro di undici chilometri.