la Repubblica, 27 gennaio 2018
La città che vuole contare i migranti col codice a barre
Niente impronte digitali né scansione dell’iride. Il garante della privacy non vuole. I dati biometrici vanno protetti. Il braccialetto invece sì, quello va bene per individuare gli ospiti. Solo che non siamo in un villaggio turistico ma in una caserma, gli ospiti non sono turisti ma migranti e soprattutto il braccialetto di plastica dovrebbe contenere un codice a barre, come quello sui prodotti del supermercato per evitare i taccheggiatori. Che, in questo caso, servirebbe per poter rilevare con certezza le presenze all’interno del centro di accoglienza nella caserma Cavarzerani di Udine.
L’idea, peraltro a buon mercato ( tanto per rimanere in tema di merce), visto che costerebbe meno di un euro a braccialetto, è del prefetto di Udine Vittorio Zappalorto che, nel nuovo bando per la gestione dei servizi del centro che sta per essere pubblicato, ha inserito «l’obbligo di avvalersi di un sistema di rilevazione elettronica delle presenze» per evitare errori sul numero dei migranti presenti in caserma. E ha ritirato fuori il progetto del braccialetto con il codice a barre elaborato dall’Università di Udine già da qualche tempo, ma rimasto in standby nell’attesa ( finora vana) che fosse pronto un software nazionale da utilizzare in tutti i centri di accoglienza d’Italia. E così il braccialetto con il codice a barre è tornato di prepotente attualità, dando vita a una polemica politico-istituzionale su giornali, siti e social.
Certo, quel codice a barre per marcare digitalmente la presenza dei migranti, soprattutto in tempi in cui rigurgiti razzisti tornano pericolosamente a percorrere il Paese, non può che suscitare sconcerto, ma in Friuli le esigenze di “sicurezza” sembrano prevalere su quelle di “umanità” sollevate dal sindaco Carlo Giacomello. Ed ecco, dunque, che la proposta del prefetto (che naturalmente non ha alcun intento razzista e tutto vuole tranne che scaldare gli animi) trova concorde anche Gianni Torrenti, assessore regionale alla Solidarietà della giunta Serracchiani, che ritiene prioritaria la necessità di tracciare la presenza dei migranti e si dice pronto a sostenere quello di Udine come progetto pilota in Italia.
«Il codice lasciamolo sulle confezioni al supermercato, basta un documento di riconoscimento come per tutti noi», liquida la questione Serena Pellegrino di LeU, che evoca l’orrore dei lager con i prigionieri tatuati a carne viva.
Forse basterebbe un badge, come quello in uso al Cara di Mineo. Certo lì, per anni, il vechio gestore ha intascato centinaia di migliaia di euro barando sulle presenze effettive. Ma questa è un’altra storia.