La Lettura, 28 gennaio 2018
Soltanto l’amore supera le paure
Tre anni: tanto è durata la gestazione della creatura intorno a cui Guillermo del Toro ha modellato The Shape of Water, La forma dell’acqua, la favola adulta – nelle sale italiane dal 14 febbraio – che ha conquistato il Leone d’oro a Venezia e, in attesa degli Oscar (ha ottenuto 13 candidature), raccoglie premi in tutto il mondo. «Lo volevo bello e sexy, il David di Michelangelo delle creature anfibie», ha precisato orgoglioso. Naso greco, fisico possente, un po’ atleta, un po’ torero, movenze feline e labbra sensuali. Un essere misterioso e affascinante, perfetto per ribaltare la narrazione sui mostri. Ovvero che debbano diventare principi per essere amati. Guillermo del Toro sovverte le regole, in nome del credo ribadito ritirando il Golden Globe, quella lode commossa «ai mostri, santi patroni delle nostre imperfezioni» e della convinzione che favole e horror abbiano in comune la capacità di rivelarsi, inevitabilmente, parabole politiche. Adatte a combattere divisioni, muri, intolleranze.
I suoi eroi sono una cameriera muta, Elisa (Sally Hawkins), la sua amica afroamericana Zelda (Octavia Spencer) e il vicino di casa, un illustratore gay disoccupato (Richard Jenkins). Un campione piuttosto rappresentativo delle minoranze – nel 1962, anno in cui si svolge la vicenda, insieme favola, horror movie, spy story, fantasy e commedia romantica – escluse dal sogno americano evocato dallo slogan di Trump Make America Great Again. «Quella è stata un’epoca d’oro della storia americana, l’ultimo momento in cui l’America ha davvero creduto nel sogno. Le macchine avevano pinne spaziali e viaggiavano su nuove autostrade, le cucine erano super efficienti, l’agricoltura florida, le donne facevano le massaie e si cotonavano i capelli, tutti erano proiettati sul futuro. Poi Kennedy è stato ucciso, la guerra del Vietnam si è rivelata un incubo, è iniziata la disillusione. Quel sogno non si è mai realizzato, ma è rimasto un ideale da raggiungere. Però un ideale alla portata di pochi». Per chi era bianco, anglosassone e protestante. «Non per tutti gli altri, i diversi. È stata un’epoca sessista, razzista, omofobica, intollerante. Tutti problemi che esistono ancora adesso». Per questo, ha spiegato, il suo film vuole essere «un antidoto al cinismo. È così difficile, oggi, in un mondo pieno di odio e divisioni, parlare di amore. Ma è la sola cosa che ci può salvare».
Insieme ai mostri, s’intende. Se sono i santi patroni, Guillermo del Toro è il loro profeta. Da 25 anni lavora, di pellicola in pellicola, per rendere loro giustizia. La folgorazione, ha raccontato, è arrivata da piccolissimo. Grazie a un film, Il mostro della laguna nera di Jack Arnold, folgorato a sei anni da quella scena in cui Julie Adams è nell’acqua e la creatura – Gill-Man, l’ultimo della sua specie preistorica – nuota sotto di lei. Quella stessa creatura che ha continuato a disegnare per anni, fino all’età adulta, e che, insieme a Frankenstein, occupa un posto in prima fila nel suo altarino degli eroi. «Ricordo bene anche la prima volta che ho visto King Kong, mi sembrava bellissimo. Mostri e bellezza per me si fondono. Mi sono innamorato dei mostri da piccolo e continuo a esserlo. Ho avuto un’educazione cattolica e ai miei occhi Frankenstein è martire, messia. Icone religiose».
Per questo, ottenuta carta bianca dalla produzione, il regista messicano ha speso tre anni (e parte del suo denaro) per modellare il David degli abissi. Pescando dalle suggestioni dalla sua immensa biblioteca, la camera delle meraviglie zeppa di libri, giocattoli, illustrazioni, sculture, memorabilia mostruose (una collezione ora itinerante, di museo in museo, con il titolo At Home with Monsters), ribattezzata Bleak House, «casa desolata», come il romanzo di Dickens. «L’ispirazione principale è arrivata da incisioni giapponesi della carpa koi, il grande pesce nero che ha affascinato anche Hokusai. E da immagini di salamandre». Prima schizzi, poi modellini. Quindi, grazie al talento dello scultore e designer Mike Hill, la creatura ha preso l’aspetto desiderato. Un Adone anfibio, animato sul set da Doug Jones, l’attore feticcio del regista messicano, in grado di sedurre Elisa. Una principessa adulta, sorella maggiore delle Biancaneve, Cenerentola, Bella di disneyana memoria. «Non una principessa Disney, ma una donna vera. Per questo nella sequenza iniziale la presento attraverso la sua routine al mattino: fa bollire le uova, si masturba nella vasca, si lucida le scarpe, corre al lavoro. È una storia d’amore e non ne offro una rappresentazione puritana. Sono messicano, non voglio che si innamorino e basta, voglio che si amino e facciano l’amore. E non c’è nulla di perverso nel mostrare la sessualità femminile che il cinema, invece, mostra raramente. C’è chi pensa che se c’è sesso non possa esserci bellezza e se c’è bellezza non possa esserci sesso. Le cose possono coesistere».
In un classico film sui mostri, Elisa si sarebbe innamorata non del mostro ma di chi lo combatte in nome della collettività. Il colonnello Strickland (Michael Shannon), che ha catturato l’anfibio in Amazzonia e ora nell’Occam Aerospace Research Center di Baltimora lo sottrae alle mire dei sovietici (siamo in piena guerra fredda, non dimentichiamolo, il laboratorio pullula di spie). È lui a credere nel sogno: bella casa, moglie in cucina, Cadillac splendente da esibire. Ne Il mostro della laguna nera il dottore la uccide per salvare la fidanzata. Ma nel mondo di del Toro il cattivo da sconfiggere è l’antagonista del mostro. Il colonnello che la considera un’offesa a Dio, mentre per Elisa è una creatura divina, forse addirittura Dio in terra.
Potenza dell’amore. «Per me è qualcosa di molto semplice da spiegare: io ti vedo, mi riconosco in te. E prendiamo uno la forma dell’altro. Il titolo viene da lì, l’acqua è l’elemento più forte, è malleabile e può diventare potente come la roccia. Prende forma dall’oggetto che la ospita. Come l’amore. Non conta l’ideologia, puoi amare qualcuno di un’altra religione, del tuo stesso sesso, di un colore di pelle o etnia diversi. O un mostro. Quando ti innamori, ti innamori e basta».